Eni e Fusione Nucleare: l’azienda sta davvero progettando qualcosa?
Come mai da un po’ di tempo leggiamo titoli in cui vengono accostate le parole Eni, fusione nucleare ed energia pulita?
I motivi sono diversi.
Da oltre 60 anni gli scienziati studiano il meccanismo che alimenta il Sole.
All’interno di questa meravigliosa stella avvengono continue reazioni di fusione, tra nuclei di idrogeno. Generando energia!
Naturalmente, l’obiettivo degli studi non è legato alla sola conoscenza. Ma alla possibilità di replicare questo meccanismo a livello artificiale.
Oggi, poi, viviamo l’epoca della transizione ecologica. Che prevede la necessità di altre contemporanee transizioni: energetica, economica, sociale.
(Per non dire culturale. Avete presente l’Agenda 2030 di cui abbiamo tanto parlato?)
A settembre Eni ha annunciato che il Cfs (Commonwealth fusion systems) ha portato a compimento con successo un test. Quello del magnete a tecnologia superconduttiva Hts (High temperature superconductors).
Che assicurerebbe il confinamento del plasma nel processo di fusione magnetica.
Cosa vuol dire?
Significa che è stato fatto un primo passo nella direzione di realizzare energia da fusione. (Proprio quella che avviene nel sole.)
Da immettere “un giorno” nella rete elettrica.
Energia pulita e “abbondante”!
Ma quanto tempo ci vorrà?
Cfs è una società spin-out del Massachusetts Institute of Technology (Mit) di cui Eni è il maggiore azionista.
Il primo traguardo lo hanno fissato per il 2025.
Quando dovrebbe essere messo in funzione il primo reattore pilota: SPARC.
Nel 2035, dopo 10 anni di test, il progetto si chiuderebbe. Lasciando partire le centrali.
Troppo tardi per fare da “ponte” in questa fase di transizione!
Eni: fusione nucleare e collaborazioni
Per Eni, fusione nucleare vuol dire consapevolezza dell’importanza strategica nel far parte di una sfida.
L’azienda è una multinazionale. Creata dallo Stato italiano come ente pubblico nel 1953, sotto la presidenza di Enrico Mattei.
Oggi partecipano allo sviluppo di progetti, italiani e internazionali, per la ricerca sulla fusione a confinamento magnetico.
Collaborano con:
- Commonwealth Fusion Systems (CFS), spin-out del MIT;
- Plasma Science and Fusion Center (PSFC) del MIT;
- Divertor Tokamak Test (DTT), progetto dell’Enea a Frascati;
- ITER, programma internazionale che prevede la costruzione di un impianto sperimentale a Cadarache, in Francia;
- attività di ricerca del CNR “Ettore Maiorana” di Gela.
Dopo il successo del test nucleare, Eni investe milioni per costruire entro il 2025, Spark.
Prototipo di reattore che secondo l’azienda potrebbe “cambiare per sempre il paradigma della generazione energetica”.
Il gruppo a dicembre ha annunciato il nuovo finanziamento della startup Cfs.
Una nota menziona 1,8 miliardi di dollari (1,6 miliardi di euro) raccolti complessivamente dal mercato.
Per raggiungere l’obiettivo di immettere nella rete energia da fusione.
Secondo loro, lungo percorsi di ricerca differenti, l’obiettivo a cui tutto il mondo sta lavorando è realizzare la prima centrale nucleare a fusione. In grado di immettere in rete energia elettrica a zero emissioni.
Prevedono di riuscirci nell’arco di uno o due decenni.
La chiave per una transizione energetica equa? Non può essere certamente questa.
Infatti, gli obiettivi (fissati dall’Unione europea) per stimolare le aziende green e rispondere all’emergenza del riscaldamento globale sono differenti.
Riduzione del 55% delle emissioni di gas serra entro il 2030 e neutralità climatica al 2050!
Approfondimenti e ulteriori traguardi
Per Eni la fusione nucleare a confinamento magnetico occupa da tempo un ruolo centrale nella ricerca tecnologica.
E il cammino è ancora lungo.
Il test (di cui sopra) ha riguardato l’utilizzo di elettromagneti di nuova generazione per gestire e confinare il plasma.
Ovvero, la miscela di deuterio e trizio portata ad alte temperature da fasci di onde elettromagnetiche.
Dunque, dimostrerebbe una possibilità di assicurare l’innesco e il controllo del processo di fusione.
La tecnologia oggetto del test potrebbe contribuire a realizzare impianti più compatti, semplici e efficienti.
Portando a una riduzione dei costi di impianto, dell’energia di innesco e del mantenimento del processo.
Eni, collabora con Mit nel campo dell’energia sin dal 2008.
In parallelo, l’azienda lavora con Enea al progetto Dtt (Divertor Tokamak Test facility).
Per l’ingegnerizzazione e la costruzione di una macchina Tokamak.
Questa dovrebbe essere ottenuta assemblando anche in questo caso magneti superconduttori.
Ma di un tipo diverso rispetto a quelli utilizzati nel test del Mit.
Il lavoro è dedicato alla sperimentazione di componenti che dovranno gestire le grandi quantità di calore che si sviluppano all’interno della camera di fusione.
I programmi ITER e DTT prevedono di ottenere il primo plasma nel 2027 e nel 2028.
Quando, mesi fa, il ministro della Transizione ecologica (Cingolani) ha parlato di nucleare di quarta generazione ha riacceso il classico dibattito.
Su un eventuale ruolo dell’atomo nel raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione.
Ma ha subito dovuto chiarire che le nuove tecnologie di fissione “non sono mature”.
Se ne saprà di più “tra 10-15 anni”.
Comunque, nulla a che vedere con la fissione. (Bocciata anni fa dagli italiani.)
Nonostante i passi avanti fatti di recente, non solo dall’Eni, i tempi sono lunghi.
Siamo ancora alla fase di test. E il 2030 si avvicina.
Eni: fusione nucleare e limiti
Riguardo alla fusione nucleare Eni parla di un traguardo importantissimo. E gli scienziati confermano.
Abbiamo accennato al fatto che la fusione è una reazione attraverso la quale i nuclei di due o più atomi si uniscono tra loro, liberando energia.
Il processo di fusione di nuclei atomici è il meccanismo che ha luogo nelle stelle!
E la promessa è di fornire energia sicura, senza emissioni di CO2.
Qual è il problema?
Si tratta di una tecnologia che necessita di anni e anni di studio per essere affinata.
Ricreare la fusione sulla Terra richiede una temperatura di 150 milioni di gradi centigradi. (Dieci volte superiore a quella del nucleo del sole.)
Inoltre, mentre il deuterio, uno degli isotopi dell’idrogeno, può essere facilmente ottenuto dall’acqua di mare, le risorse globali di trizio (l’altro ingrediente principale) sono scarse.
Ce lo spiega la Commissione europea, in un documento sul progetto Iter.
Queste limitazioni non hanno scoraggiato la ricerca e secondo gli esperti saremmo sulla buona strada.
Tra cinquanta anni, la fusione potrebbe offrire una fonte di energia in grado di soddisfare la maggior parte del fabbisogno mondiale.
Ma sono passati 25 anni dal primo traguardo. Potrebbero essere necessari altri 25 anni per compiere un ulteriore passo.
Perciò dobbiamo sapere che la fusione nucleare può essere la tecnologia del futuro, ma non quella del presente.
- Leggi anche: Energia nucleare in Italia: i pro e contro
Eni, fusione nucleare e appuntamenti del futuro
I progetti sulla fusione nucleare di Eni sono davvero ambiziosi.
L’azienda segue la scia di quanti con lungimiranza puntano sulle potenzialità della tecnologia.
Infatti, è dal secondo dopoguerra che la maggior parte delle ricerche nel campo della fusione si è dedicata al confinamento del combustibile gassoso con campi magnetici.
Ci sono voluti 70 anni circa per arrivare a uno schema di centrale funzionante.
Il Tokamak è un reattore di concezione russa. E attualmente il progetto Iter (di cui fa parte Eni) è il più importante per quanto riguarda la fusione nucleare.
Che prevede proprio l’utilizzo di questo reattore.
Iter coinvolge 35 nazioni.
L’obiettivo è costruire il primo reattore sperimentale di questo tipo a Cadarache. Nel sud della Francia.
Ma, apparte i tempi lunghi, il progetto è talmente costoso che per la sua realizzazione occorre il contributo finanziario della maggior parte delle nazioni sviluppate.
Inizialmente si prevedeva un costo di 13 miliardi di euro. Ora, c’è chi sostiene che si possa arrivare facilmente a 30 miliardi.
Senza contare la necessità di impiegare un’enorme quantità di energia per proseguire con gli esperimenti.
Le stime sullo stato di avanzamento dell’impianto francese sono vaghe.
Parlano di una sua conclusione nel 2025. E quella di Cadarache sarà una centrale dimostrativa.
A questa dovrà seguire la realizzazione di un vero e proprio reattore.
Infine, si tratterebbe di un dispositivo estremamente complesso. Nel volume, circa 10 volte più grande di un reattore a fissione nucleare.
Il suo nucleo pesa più di 100mila tonnellate. Per questo, le fondamenta di Iter hanno richiesto 200mila metri cubi di cemento.
Insomma, gli sforzi economici assorbiti dalla costruzione di una simile mega-centrale renderebbe il costo di produzione di un kilowattora tra le due e le sei volte più caro rispetto a quello generato dall’energia rinnovabile.