Cos’è l’obsolescenza tecnologica e come colpisce l’ambiente?
Parlare di obsolescenza tecnologica, oggi, significa aprire il dibattito su una incredibile varietà di “temi”.
Innanzitutto: cosa vuol dire obsolescenza?
Il termine è sinonimo di invecchiamento e superamento.
Con esso possiamo riferirci ad istituzioni, strutture, manufatti…
Ma, andando più specificamente verso la questione tecnologica, sappiamo che si tratta della perdita di efficienza e di valore subiti da un apparecchio o da un impianto.
Anche a causa del progresso!
Ovvero, dell’immissione sul mercato di nuovi “macchinarî”.
Obsolescenza viene usato per beni di consumo come le automobili, gli elettrodomestici, i computer, i cellulari.
Come sappiamo, infatti, le aziende produttrici ci presentano continuamente nuovi modelli o perfezionamenti che spingono (con determinazione) ad abbandonare quelli vecchi.
Dunque, per obsolescenza tecnologica, si intende quella condizione che rende “inutilizzabile” una risorsa.
Magari perché sono indisponibili gli strumenti necessari a renderla intellegibile.
Ogni volta che si acquista un nuovo dispositivo, quindi, scatta il conto alla rovescia.
Per quanto tempo potremo utilizzare il nuovo acquisto?
Sotto esame non ci sono solo le performance.
Il sempre maggiore impatto che un prodotto obsoleto può avere sull’ambiente non è da sottovalutare.
In sintesi, ci aggiriamo attorno ad almeno tre livelli di riflessione quando parliamo di obsolescenza tecnologica:
- rifiuti;
- materie prime;
- inquinamento di dispositivi non efficienti.
Poi, al termine obsolescenza, viene affiancata una parola che suscita inquietudine: “programmata”.
Così scopriamo un “sistema” che realizza beni progettati per avere una vita utile ben definita nel tempo.
In modo che l’acquisto sia perpetrato nel tempo, alimentando per bene il mercato.
Era il 1924 quando abbiamo iniziato a “lavorare” in questa direzione.
Risaliamo, dunque, agli albori del consumismo. Ma sarebbe opportuno ricordare che quelli erano gli anni della Grande Depressione economica.
Oggi invece siamo alle prese con la transizione ecologica, la decarbonizzazione e le conseguenze del riscaldamento globale!
Errare è umano, ma perseverare…
Obsolescenza tecnologica: definizione
Anche se il significato resta più o meno lo stesso, la definizione di obsolescenza tecnologica può variare un po’.
In base al contesto in cui ci troviamo.
Per esempio, a livello molto tecnico, c’è chi la descrive come un fenomeno che riguarda la componente software (sistema operativo, framework di sviluppo, firmware di uno smartphone o di una stampante).
Questa ha un periodo di supporto, da parte del fornitore, limitato nel tempo.
Di solito risulta sufficientemente lungo. Ma superato questo periodo l’azienda cessa la fornitura di aggiornamenti e bug-fix (per esempio le patch di sicurezza).
Causando l’accumulo e la stratificazione delle vulnerabilità.
In pratica i nostri sistemi diventano facilmente violabili.
Ed in parole povere, qualche male intenzionato potrebbe procedere alla sottrazione di tutte le carte di credito degli utenti internet.
La definizione di obsolescenza tecnologica può riguardare l’archiviazione dei dati.
In quanto le tecnologie utilizzate per conservare in formato digitale documenti, immagini e tanto altro “invecchiano”. E vengono sostituite da nuovi supporti.
Ma questi nuovi sistemi digitali spesso non sono in grado di visualizzare e modificare i dati archiviati in precedenza, rendendoli inutilizzabili.
Un esempio di obsolescenza tecnologica è quello del floppy disk.
E ancora, quando si parla di obsolescenza tecnologica bisogna necessariamente menzionare l’home comfort.
Oltre il 60% della popolazione urbana dell’Ue è esposta a livelli di particolato al di sopra delle linee guida. (Dettate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.)
I sistemi di riscaldamento domestico sono tra i principali responsabili.
In questo caso, sostituire le caldaie obsolete significa evitare di utilizzare dispositivi altamente inquinanti.
Perciò, con le politiche della green economy, anche nel nostro Paese sono entrate in vigore svariate agevolazioni. Tra cui il famoso Superbonus 110%.
Per specifici interventi in ambito di efficientamento energetico.
Obsolescenza programmata
Vediamo, dunque, che non ci riferiamo necessariamente alla parte hardware o software, di un computer quando parliamo di obsolescenza tecnologica.
Magari è il touchscreen ad iniziare la sua vita indipendentemente da noi….
In ogni caso, alcune “applicazioni” o dispositivi andranno aggiornati o sostituiti.
Perché rallentano lo svolgimento di qualsiasi processo, oppure rendono il prodotto inutilizzabile…o addirittura inquinante!
Da un lato tutto ciò è assolutamente normale. La tecnologia ha bisogno di sviluppo e grazie al progresso riusciamo a prenderci cura in maniera più mirata del nostro benessere.
Ma, d’altra parte, è vero che accadono cose alquanto “bizzare”.
È successo e succede che diversi governi indaghino colossi (come Apple) con accuse che riguardano “l’obsolescenza programmata”.
Senza contare che alcuni dei più grandi sono già stati multati dall’Antitrust per illeciti nelle linee di produzione di alcuni smartphone.
L’obsolescenza sembra essere diventata, con il tempo, una vera e propria strategia industriale.
Che limita il ciclo di vita di un prodotto a un periodo breve, con lo scopo di alimentarne la domanda.
Inutile dire, quindi, che la continua sostituzione di prodotti (obsoleti?) per nuovi modelli esercita un incredibile impatto sul Pianeta.
Secondo il report Global E-Waste Monitor 2020 delle Nazioni Unite, nel 2019 i consumatori europei hanno prodotto oltre 53 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici.
La corsa all’ultimo modello diventa uno stile di vita. Trasformando troppi oggetti, anche costosi, in prodotti “usa e getta”.
Diverso il discorso quando si tratta di utilizzare prodotti obsoleti che concorrono all’aumento dell’inquinamento.
Tra gli esempi più calzanti, il settore dell’auto.
Di tutte le tonnellate di polveri sottili emesse dalle auto italiane:
- solo l’1,6% proviene dalle nuove Euro 6 (che rappresentano il 23% di quelle in circolazione);
- le Euro 0, ossia il 9% delle attuali auto in circolazione, sono responsabili del 73% delle emissioni di PM.
Conseguenze ambientali e sociali
Non esiste una data di scadenza che ci indichi l’arrivo dell’obsolescenza tecnologica.
Per capire quando computer, cellulari ed altri dispositivi sono diventati “vecchi” ci basta paragonarli alle ultime tendenze. Per esempio osservando il design.
In questa opera di riconoscimento, poi, siamo guidati dall’abilità degli spot pubblicitari. Che solleticano i nostri desideri più istintivi.
Ma che fine fanno i prodotti obsoleti?
Per capire quanto “pesi” sull’ambiente lo smaltimento dei prodotti elettronici (e-waste), basterà sapere che già vent’anni fa ci occupavamo di strutturare dossier specifici.
WWF Italia e Consorzio Ecoqual’IT in “L’E-WASTE ladri di futuro” (2002), affermavano che un Personal Computer standard, contiene:
- Plastica – costituente in media il 22.9% del peso totale;
- Piombo – 6.3% del peso;
- Ferro – 20.5%;
- Alluminio – 14.2%;
- Rame – 6.9%;
- Stagno – 1.0%;
- Zinco – 2.2%;
- Oro – 0,0016%;
- Silicio – 24.8%;
- Cadmio, mercurio e cromo – in quantità minima…ma assolutamente non riciclabile.
Inoltre, già al tempo, si parlava del fatto che il disastroso impatto ambientale non è l’unica conseguenza dell’e-waste.
Esistono ripercussioni drammatiche dal punto di vista sociale.
Da una ricerca condotta nel 2001 da Greenpeace China e dalle associazioni ambientaliste BAN e SVTC, è emerso che i rifiuti tecnologici vengono esportati nei paesi più poveri del mondo.
Lì vengono disassemblati senza nessun tipo di precauzione per 1,50 $ al giorno dalla manodopera locale.
Per impedire questo traffico già dal ’94 è attiva la Convenzione di Basilea, ratificata da molte nazioni.
Non dagli Stati Uniti! I maggiori esportatori e produttori di rifiuti elettronici al mondo.
Dal 2005, inoltre, nella UE è entrata in vigore la Direttiva WEEE (Waste Electrical and Electronic Equipment). Che obbliga le aziende di hi-tech a provvedere allo smaltimento dei propri prodotti in disuso.
In ogni caso prima di “condannare a morte” i nostri oggetti, dovremmo sempre ricordarci che possiamo riciclarli.
Magari regalandoli ad associazioni che li rimetteranno in uso.
Obsolescenza: tecnologica o culturale?
Ma esiste davvero un complotto (tra gruppi industriali) per fare in modo che l’obsolescenza tecnologica renda gli oggetti inutilizzabili prima del tempo?
È la domanda che si pone Davide Rossi, direttore di Aires. Associazione che riunisce le principali catene e gruppi attivi nella vendita di apparecchiature elettriche ed elettroniche in Italia.
Certi elettrodomestici “una volta duravano di più”.
Oggetti molto costosi, ma con un ventaglio di possibili acquirenti estremamente ridotto.
Con l’avanzare della tecnologia e della progettazione gli stessi oggetti, i materiali impiegati, il loro peso, l’efficienza dei componenti sono cambiati nel tempo.
In questo modo una parte di tecnologia è diventata accessibile ai più, sacrificando in parte la qualità.
E siamo noi consumatori a chiedere prodotti che funzionino meglio, che consumino meno. Insomma, che siano migliori dei precedenti!
L’aumento della tecnologia a basso costo ha generato lo straripare dei cosiddetti Raee (Rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, tra cui le lampadine!).
Solo nel 2015 sono state intercettate 223mila tonnellate di Raee, con una crescita del 4,3% rispetto all’anno precendente (Ispra).
Nel 2017 secondo Ecodom (Consorzio italiano di gestione dei Raee), sono state 104.614 le tonnellate di rifiuti elettronici raccolti.
Ciò ha permesso di risparmiare in materie prime ed energia.
Oggi esistono diversi sistemi per migliorare la raccolta differenziata.
E il dottor Rossi ci ricorda che:
“è possibile costruire prodotti concepiti per essere riciclati correttamente.”
Quando un telefono è realizzato con le materie prime seconde raccolte da riciclo, non andiamo a intaccare le risorse. Realizziamo un ciclo di materia continuo!
Il che equivale alla definizione stessa di economia circolare…alla quale tutti aneliamo!