Produrre energia elettrica dal terreno: solo una moda o possibilità concreta?
La crisi energetica che stiamo vivendo impone di compiere sforzi per poter trovare altri nuovi modi sostenibili per generare energia, come quello di produrre energia elettrica dal terreno.
La biologia sembra infatti suggerire dei modi per generare elettricità dalle piante e dai microbi che vivono sotto di esse nel terreno.
Oggigiorno generiamo energia elettrica attraverso le centrali a energia idroelettrica, dal carbone e dai combustibili fossili, o dalle centrali nucleari. Ognuno di questi metodi ha i suoi lati negativi, come la scarsità d’acqua, l’inquinamento dell’ambiente con le polveri e i gas serra o i problemi di sicurezza legati ai danni radioattivi.
Quindi la domanda che tormenta i più attenti alle sorti del Pianeta è:
È possibile avere una centrale elettrica senza inquinamento e rispettosa della natura?
A questa domanda, un gruppo di biologi sembra dare una risposta.
Dai Paesi Bassi la possibilità di produrre energia elettrica dal terreno
I ricercatori dell’Università di Wageningen, nei Paesi Bassi, guidati dalla dottoressa Marjolein Helder, hanno messo a punto un metodo che genera elettricità da piante viventi e dai microbi che vivono sotto di esse nel terreno, dove le piante lasciano cadere le loro radici.
La pianta fa ovviamente la fotosintesi, utilizzando la luce del sole, l’acqua e l’anidride carbonica atmosferica, generando ossigeno per la nostra respirazione. I microbi del suolo utilizzano parte del materiale organico che esce dalle piante nel terreno, lo metabolizzano e, nel processo, generano anidride carbonica, ioni di idrogeno ed elettroni.
Così, mentre la pianta in superficie fa fotochimica, i batteri sottostanti fanno elettrochimica, generando ioni positivi e negativi.
La Dott.ssa Helder e i suoi colleghi hanno posizionato elettrodi positivi e negativi in modi specifici e hanno ottenuto una corrente elettrica, proprio come facciamo con le batterie. È bastato infatti inserire un elettrodo vicino alle radici per assorbire gli elettroni e generare quindi energia dal terreno, sfruttando la differenza di potenziale così creata.
Questo metodo di produzione dell’elettricità avviene attraverso le cosiddette celle a combustibile microbico vegetali.
L’aspetto che più genera entusiasmo è che tale metodo è completamente naturale e rispettoso dell’ambiente. Inoltre, non necessita di materiali aggiunti dall’esterno e fa parte di un processo ciclico in natura.
Quanta elettricità viene prodotta con queste celle vegetali?
La quantità di energia elettrica prodotta dal terreno, dipende dalle sue dimensioni. Ma sono state fatte delle stime.
In particolare, un piccolo appezzamento di giardino di 50 cm x 50 cm può produrre 5 volt di elettricità, mentre un giardino di 100 metri quadrati fornisce energia elettrica sufficiente per caricare un telefono cellulare o per accendere diverse lampadine a LED.
In effetti, il gruppo capitanato dalla Dott.ssa Helder ha illuminato il proprio edificio Atlas con lampadine a LED e una stazione di ricarica per telefoni cellulari in un locale della vicina città di Tilburg, attraverso le celle microbiche vegetali.
Secondo la teoria, con queste celle si dovrebbero poter generare 3,2 watt di potenza elettrica per metro quadro (3,2W/m2).
Il miglior livello ottenuto finora nella pratica è solo un sedicesimo di questo, cioè 220 mW/m2. È quindi necessario migliorare l’efficienza, sia aggiungendo al terreno microbi con prestazioni migliori, sia aumentando la superficie di chilometri e chilometri di prati, terreni agricoli e concentrandosi su risaie e superfici simili.
Queste pratiche migliorative potrebbero sfruttare meglio anche l’energia solare e portare il rapporto costi-benefici a proporzioni accettabili.
Piante che brillano e producono energia
Un’altra straordinaria innovazione, questa volta direttamente dalle piante stesse anziché dai microbi sottostanti, è stata proposta dal Dottor Michael Strano del MIT di Cambridge, MA, USA. Si tratta di un’idea audace: “come far brillare le piante con la luce“!
Sappiamo che una pianta cattura la luce e, sfruttandola, converte le molecole d’acqua e l’anidride carbonica atmosferica in zucchero.
L’obiettivo del gruppo del Dottor Strano è far sì che le piante non si limitino ad assorbire, ma emettano luce e, di fatto, risplendano in modo tale da poterle usare come lampada da tavolo per aiutare a leggere un libro in una stanza buia.
In altre parole, far brillare una pianta come fa una lucciola.
Una lucciola si illumina perché possiede un enzima che converte una molecola chiamata luciferina in ossiluciferina, e l’energia rilasciata in questa reazione si manifesta sotto forma di luce visibile. L’enzima si chiama luciferasi.
Ora, le piante non hanno luciferina o luciferasi, quindi come fare per far illuminare una pianta?
Le nanoparticelle per produrre energia dalle piante
L’idea del Dottor Michael Strano è di riuscire in qualche modo a iniettare luciferina e luciferasi in una pianta. In tal modo, forse anche questa emetterà luce – per farla funzionare proprio come una lucciola. A tal fine, ha utilizzato la tecnologia delle nanoparticelle.
Prendendo come piante sperimentali il crescione e gli spinaci, il suo gruppo ha prima impacchettato la luciferasi in nanoparticelle di silice. Poi ha impacchettato la luciferina in un’altra serie di nanoparticelle fatte di polimero PLGA.
Ciascuna di queste nanoparticelle portava un tag che le avrebbe permesso di raggiungere una parte specifica delle cellule vegetali. Poi hanno ideato anche un terzo sistema di nanoparticelle, confezionato con molecole chiamate co-enzima A. Questo doveva rimuovere un prodotto della reazione della luciferina, che inibisce o impedisce alla reazione di procedere.
A questo punto hanno immerso la pianta in acqua, hanno aggiunto le tre serie di nanoparticelle e hanno applicato una pressione elevata in modo che queste entrassero e si posizionassero nei punti appropriati all’interno delle piante. A questo punto la reazione è avvenuta e la pianta ha emesso un debole bagliore, un momento di illuminazione che è durato circa 3 ore.
Chiaramente, è necessario fare ulteriori modifiche per rendere più luminoso il bagliore, aumentare il tempo di durata e altri aspetti. Hanno anche capito come spegnere la luce quando non serve più, aggiungendo un interruttore che spegne la molecola a piacimento.
Visti i progressi, questi sembrano realizzabili abbastanza presto. Strano afferma: “il nostro lavoro apre seriamente la strada a lampioni che non sono altro che alberi trattati e all’illuminazione indiretta intorno alle case”.