Carne coltivata: quale sarà il futuro del cibo?
Non chiamatela fake meat: Agnese Codignola, nel suo ultimo libro edito da Feltrinelli, Il destino del cibo, consiglia altri nomi meno spaventosi per definire quello che forse sarà il cibo del nuovo millennio. E allora ecco che cominciamo a familiarizzare con termini come clean meat, clean food, e via dicendo. Presto, infatti, potremo trovarci a mangiare carne coltivata in laboratorio, carne per la quale nemmeno un pollo o un manzo sono stati maltrattati, ma anche pesci “creati” a partire da una manciata di cellule.
Sarà davvero questo il futuro del cibo?
Secondo le ultime stime, nel 2030 saremo dieci miliardi ad abitare la Terra. E a volerci nutrire.
Ma come sfamare il maggior numero possibile di persone senza distruggere quello che resta del nostro pianeta, e magari senza impattare troppo sull’ambiente e senza inutili crudeltà sugli animali?
La soluzione viene dalla scienza, come spesso accade. La maniera in cui mangiamo e produciamo il nostro cibo, infatti, non è più sostenibile. È necessario cambiare abitudini e farlo adesso.
La buona notizia è che scienziati da ogni parte del mondo hanno iniziato a immaginare un futuro diverso per tutti noi, un futuro in cui il green o clean food sarà la normalità. Non parliamo di fantascienza: ovunque nel mondo stiamo già imparando a coltivare le carni in laboratorio, con un consumo infinitamente ridotto di risorse. Stiamo studiando la capacità di rigenerazione del mare per ricreare gli ecosistemi; stiamo coltivando sottoterra e nello spazio. È già realtà.
Perché mangiare carne se si può diventare vegetariani?
La domanda non è banale; perché spendere tante risorse per coltivare la carne in laboratorio, se si può mangiare verdura?
In realtà le cose non stanno proprio così: diversi studi effettuati negli ultimi decenni hanno dimostrato che la percentuale di chi rifiuta la carne nel mondo è ancora molto bassa (al momento si stima che i vegetariani siano poco meno del 10% della popolazione) e, soprattutto, più dell’80% di chi lo fa, nell’arco di qualche anno, torna a mangiare carne.
Forse per motivi psicologici, forse per motivi di salute. Fatto sta che non si resta vegetariani o vegani a lungo.
Ma, in ogni caso, se anche tutti diventassimo vegetariani, nuovi problemi sorgerebbero all’orizzonte: soffriremmo di carenze gravi di nutrienti indispensabili, da integrare con medicine o altro, e tutti peseremmo di più sul sistema sanitario nazionale.
Inoltre, per nutrire di sole piante dieci miliardi di esseri umani ci servirebbe senz’altro un “Pianeta B”, da dedicare esclusivamente a serra.
Allora perché non mangiare fake meat? Gli hamburger di finta carne esistono già.
Gli hamburger già in commercio cosiddetti costituiti da “finta carne” in realtà sono a base di farine vegetali, di piselli o di soia, che sono caratterizzate da un cattivo sapore e odore.
Per rendere questi burger appetibili, le aziende li hanno riempiti di coloranti, aromatizzanti, addensanti e chi più ne ha più ne metta. Con risultati disastrosi: alcuni studi hanno rilevato che in alcuni casi la finta carne contiene troppo sale o zuccheri aggiunti.
Esistono inoltre finti pesci, finti gamberetti, finto sushi; e si tratta sempre di basi vegetali rese appetibili con aromatizzanti, coloranti e additivi e tanto, tantissimo zucchero. Non sembra dunque questa la strada più salutare per cambiare abitudini nell’ottica di una svolta green.
L’impressione che se ne ricava, infatti, è che questi siano prodotti il più naturali possibile, e invece sono il risultato di enormi sforzi tecnologici e di mix di diverse sostanze chimiche.
Perché, in effetti, non c’è nulla di male nel mangiare qualcosa creato in laboratorio, a patto che sia rispettata la salute umana e il fabbisogno giornaliero di tutti noi.
Qual è la soluzione, quindi, più salutare per noi e per l’ambiente? C’è qualcosa che davvero può salvare la Terra dallo sfruttamento intensivo e gli animali dagli allevamenti dell’orrore?
La carne artificiale sarà il futuro?
Pare che la risposta al quesito precedente ci sia già; va solo perfezionato il processo. La carne cosiddetta artificiale, coltivata o green è infatti una soluzione (ancora non a buon mercato, purtroppo) ottimale.
La carne coltivata in laboratorio, per quanto sia difficile da accettare a rigor di logica, è vera carne. È cresciuta a partire da una cellula di muscolo di manzo, è stata messa in coltura ed è stata lasciata a moltiplicare. È dunque, da tutti i punti di vista, carne.
Non attaccata a un animale, certo, e nessun animale ha sofferto o ha dovuto morire per produrla, ma è carne. Non c’è nulla di artificiale, a meno che non consideriamo anche i lieviti, lo yogurt e la birra come artificiali.
Come si coltiva la carne in laboratorio?
A spiegarcelo è lo stesso Mark Post, direttore del Dipartimento di fisiologia dell’Università di Maastricht, in Olanda, e uno dei ricercatori più impegnati nel settore.
La procedura è molto semplice: “con una biopsia si prelevano cellule muscolari da un animale (che continuerà a vivere la sua vita) e da queste si estraggono cellule staminali che si fanno crescere in un brodo di coltura contenente anche siero fetale. Una volta ottenuta una quantità sufficiente di tessuto, lo si fa differenziare in cellule muscolari, che vengono poste su un’impalcatura di materiali biocompatibili, biodegradabili, in grado di assicurare una crescita tridimensionale. Nel frattempo si sottopongono le cellule a stimoli meccanici per favorire la formazione di proteine”.
Negli anni, la carne “in provetta” è migliorata sempre di più, sia nel gusto sia nella produzione. Ed è sempre più simile all’originale per consistenza, sapore, odore. Chi l’ha provata sostiene che è quasi meglio del manzo. Di sicuro lo è dal punto di vista ambientale, etico, sociale.
Continua Post: “Il mio obiettivo è sostituire tutti gli allevamenti del mondo con la carne coltivata. Il mio sogno è che un giorno McDonald’s mi chieda di fornirgli tutta la carne che usa in tutti i suoi ristoranti, in tutto il mondo”.
Possiamo già prenotare ora il cibo del futuro
Come provocazione, ma forse non più di tanto, Post si è divertito a lanciare un suo ristorante virtuale, o meglio un ristorante che aprirà nel futuro. È già possibile da ora prenotare un tavolo a questo ristorante, per qualsiasi data dal 2029 in poi (ma forse, a causa del Covid-19, ci sarà qualche ritardo).
Il ristorante in questione è il Bistro in vitro, esplicitamente rivolto “ai pionieri, a coloro che cambieranno il mondo e agli amanti della natura”.
È letteralmente il ristorante del futuro, creato da ricercatori che ritengono che la carne in vitro, prodotta da cellule animali coltivate in un bioreattore, potrebbe offrire in futuro un’alternativa sostenibile e rispettosa degli animali.
Bistro in Vitro punta a spezzare la comprensibile repulsione che proviamo ogni volta che si parla di cibo artificiale o creato in laboratorio (basti pensare a tutta la polemica seguita all’uso degli Ogm). E lo fa in modo intelligente, proponendo un menu-tipo del tutto realistico, che ci mostra cosa potremmo trovare nel piatto tra qualche decennio: pesce, bistecca, polpette, tutto coltivato in vitro e portato sulle nostre tavole.
Per un cibo che è praticamente identico a quello “vero”, o quasi, meno la sofferenza degli animali e meno l’impatto enorme di CO2 che impieghiamo per produrlo.
La ricerca in Israele va avanti
Non solo Europa e America sono impegnate nello studio e nella ricerca della carne coltivata in vitro.
Anche Israele è un polo d’eccellenza, e potrebbe essere a un passo dalla soluzione definitiva. Il gruppo di Shulamit Levenberg, ingegnera tissutale del Technion – Israel Institute of Technology di Haifa, che da diversi anni fa ricerca in questo campo, ha appena pubblicato su Nature Food la sua soluzione per rendere la carne in vitro il più simile possibile a quella “reale”: la soia.
La carne ottenuta dalla coltivazione su strutture di proteina di soia è stata fatta assaggiare da tre volontari, che l’hanno giudicata saporita e soprattutto della “giusta consistenza”. Lo stesso Mark Post ha ritenuto molto importanti i risultati israeliani.
Non solo carne: il pesce del futuro
In America, intanto, una startup, la Finless Food, fondata da Mike Selden e Brian Wyrwas, si occupa di fornire ai consumatori pesce privo di contaminanti quali mercurio, metalli pesanti, diossine, antibiotici, ormoni e microplastiche.
La soluzione è ancora una volta la coltura in vitro. Per ora Mike e Brian si sono cimentati nelle colture di carpa, ma anche di tilapia, di spigola, di salmone, di branzino, di acciuga e di merluzzo, ma puntano al tonno.
Il mare potrebbe ripopolarsi, l’ecosistema marino riprendere a pieno ritmo e noi non dovremo rinunciare a tonno e gamberetti. Un futuro più che auspicabile.
Il giusto equilibrio
Insomma, da un lato vogliamo che la carne del futuro sia il più possibile simile a quella che mangiamo adesso, per abbattere tutti gli scogli psicologici che ci impediscono di avvicinarsi a essa; dall’altro vogliamo che sia anche profondamente diversa, creata senza crudeltà, senza antibiotici, senza inutili sprechi o impatti dannosi per l’ambiente.
I ricercatori stanno appunto cercando questo giusto equilibrio, e a sentir loro il futuro sarà tutto del cibo in vitro. Che si tratti di carne, pesce, colture idroponiche o altro, sarà la scienza a darci tutte le risposte che cerchiamo. E potremo gustarci davvero una bella bistecca al sangue senza aver causato danno a nessun essere vivente.