Troppe mascherine monouso e guanti nell’ambiente. Si rischia un danno ambientale gravissimo

ASM SET 24/giu/2020
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Fino a pochi mesi fa, e in alcune Regioni d’Italia ancora oggi purtroppo per motivi sanitari molto seri, è obbligatorio l’uso delle mascherine chirurgiche usa e getta e dei guanti anche all’aperto.

Ma tutto questo materiale monouso, che va gettato subito dopo l’uso (le mascherine monouso non andrebbero usate per più di 4 ore continuative, ma pensate anche ai copriscarpe e alle cuffiette), come viene smaltito? Chi si occupa di questa montagna di rifiuti non differenziabili che stiamo producendo, ognuno di noi, chi più chi meno in base a obblighi, impegni, lavoro e responsabilità?

Lockdown: allarme ambiente

Per un po’, è sembrato quasi che la pandemia potesse risolvere i problemi ambientali che da tempo ci affliggono: riscaldamento climatico, inquinamento, scioglimento dei ghiacciai.

Le nostre “carte geografiche” satellitari sono diventate improvvisamente pulite, quando tutti siamo stati costretti a restare a casa. Senza traffico aereo, su strada e senza i consumi di migliaia di uffici e aziende, ci è sembrato che la Terra potesse respirare, almeno un po’. Sono tantissime le testimonianze che ci hanno mostrato come il verde stesse prendendo il sopravvento sul grigio delle città, come gli animali selvatici stessero rimettendo piede in luoghi a loro sconosciuti.

Ma ben presto ci si è posti il problema dello smaltimento di tutto questo materiale monouso che stiamo producendo, e che spesso finisce in mare. Per un po’, le mascherine monouso sono sembrate introvabili, adesso in casa ognuno di noi ne ha una considerevole scorta.

Senza parlare poi dei guanti o dei disinfettanti per le mani, che sono diventati obbligatori in molti luoghi aperti al pubblico, se non tutti.

“Già oggi è come se nei nostri mari finisse un camion di plastica al minuto, non oso immaginare cosa accadrà se continueremo con questo consumo indiscriminato di usa e getta”,

Giuseppe Ungherese, responsabile Campagna Inquinamento di Greenpeace Italia.

Mascherine monouso: cosa possiamo fare noi?

La prima cosa da fare è quella di evitare di gettare mascherine e guanti nell’ambiente, se si vuole che siano smaltiti correttamente.

Potrebbero essere necessari, nel nostro Paese, fino a un miliardo di mascherine usa e getta e circa 500 milioni di guanti al mese, secondo le ultime stime di “Repubblica”. Numeri senza dubbio impressionanti, che potrebbero crescere ancora nel caso di una seconda ondata di Covid-19.

Può sembrare un consiglio banale, quello di non disperdere nell’ambiente i materiali monouso, ma evidentemente non lo è, data la quantità di rifiuti di questo tipo che sono stati ritrovati in giro per le nostre città. Tanto che Legambiente, assieme a Unicoop Firenze, ha deciso di lanciare la campagna Ecoproteggiamoci, per sensibilizzare i cittadini sui danni all’ambiente causati dall’abbandono dei dispositivi di protezione individuale.

Il fenomeno dell’abbandono nell’ambiente di guanti e mascherine usa e getta può avere un impatto ben più grave di quello legato solo all’incuria – ha dichiarato il presidente di Legambiente Ciafani -. Per le loro caratteristiche di leggerezza e rapidità di deterioramento, infatti, finiscono molto facilmente, attraverso il reticolo idrografico o trascinate dal vento, in mare, dove possono causare un incremento della diffusione di microplastiche e diventare una minaccia per tutte le specie, protette e non. Sono scene che si ripetono sempre più spesso e che Legambiente ha denunciato per prima, da Milano a Firenze fino alle spiagge di Campania, Calabria e Sicilia”.

Secondo accorgimento: utilizzare, laddove si può, dei materiali non monouso: esistono mascherine protettive lavabili fino a 5 o 10 volte, assolutamente sicure dal punto di vista sanitario, e in questo caso il risparmio non è solo ambientale ma anche economico.

È difficilissimo che le mascherine possano essere riciclate: infatti, la possibile contaminazione con saliva o secrezioni nasali o materiale infetto rende difficile il loro riciclaggio. Quindi, per ora, la nostra opzione migliore è riutilizzarle lavandole adeguatamente.

Allarme sostanze tossiche

Oltre alla possibile diffusione di microplastiche nei mari, un altro aspetto da non sottovalutare per quanto riguarda l’impatto ambientale di alcuni guanti e mascherine, è l’utilizzo di alcune sostanze chimiche per il loro trattamento.

“I prodotti chimici utilizzati per la produzione di questi Dpi – aggiunge Legambiente –  non sono resi noti pubblicamente. Tra questi, l’acido perfluoroottanoico (Pfoa), appartenente alla famiglia degli Pfas, è un agente chimico con proprietà repellenti, vietato a livello globale con la Conferenza di Stoccolma per la sua tossicità (colpisce fegato e tiroide) e per la sua capacità di dispersione. A questo divieto c’è però un’eccezione, proprio per il trattamento di prodotti sanitari».

Un altro prodotto chimico che preoccupa sono gli ftalati, utilizzati per trattare prodotti in Pvc come i guanti monouso, che quando vengono inceneriti rilasciano inquinanti molto tossici e pericolosi.

Senza contare che spesso i produttori di mascherine sono all’estero, e i prodotti importati sono realizzati da più strati di polimeri diversi, più difficili da riciclare, come ha raccontato a Euronews Claudia Brunori, chimica e responsabile della Divisione efficienza delle risorse e chiusura dei cicli dell’ENEA, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile.

Allarme ecomafia

Ancora, è possibile che la mafia e il crimine organizzato colgano questa emergenza rifiuti come un’opportunità.

I soggetti specializzati nei traffici illeciti di rifiuti non perdono tempo, e organizzano spedizioni all’estero di materiale potenzialmente infetto, se proveniente da Rsa e ospedali.

Il rapporto dell’Interpol del 23 aprile 2020 analizza infatti i casi già riscontrati in diversi Paesi, dalla Thailandia all’Europa. Da febbraio a marzo 2020, una serie di spedizioni illegali di materiale sanitario inviate per essere smaltite illegalmente sono state registrate in India.

Inoltre, in Tailandia è finita sotto inchiesta un’azienda di riciclo che vendeva come nuove mascherine usate. È importantissimo dunque anche controllare come vengono smaltiti i rifiuti sanitari, per evitare che vengano reimmessi nell’ambiente tramite queste attività illecite.

Cosa possono fare i governi Secondo l’Enea, bisogna ripensare subito l’intera filiera dei materiali monouso.

Oggi in Italia stiamo importando la maggior parte delle mascherine: “da noi abbiamo pochissimi macchinari appositi per produrre FFP2 e quelle che vengono realizzate seguono regole prive di sostenibilità. Essendo realizzate in più polimeri e più materiali, riciclare è praticamente impossibile. Quindi le usiamo e le buttiamo, esattamente come per certi monouso di plastica”.

Da qui nasce la necessità di ripensare l’intera filiera italiana in modo che si possa ottenere un prodotto adatto all’economia circolare: “Mascherine che siano fatte con un unico polimero e materiali che possano poi essere riciclati. Inoltre serve la tracciabilità”.

Sembra però un percorso molto lungo, che forse sarà portato a termine quando la prossima emergenza sanitaria ci colpirà. Purtroppo è inevitabile agire con ritardo, perché finora non sono stati fatti i giusti investimenti in tal senso.

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