Perché l’acidificazione degli oceani è un problema che riguarda tutti noi
Acidificazione degli oceani!? Chissà Dante in quale girone avrebbe collocato gli “acidificatori seriali” …
In che senso!?
La nostra impronta ecologica è inevitabile. Eppure, agire con cura nei confronti della natura è essenziale.
Questo è il messaggio che arriva chiaro e semplice. Anche quando si parla di acidificazione degli oceani.
Sono passati 10 anni dal momento in cui Alex Rogers (Direttore scientifico dell’Ipso) condivise al mondo la notizia scioccante. L’esito del report dell’International Programme on the State of the Ocean.
“L’effetto cumulativo di tutte le attività umane sugli oceani ha implicazioni molto più gravi di quanto ciascuno di noi si fosse reso conto fino ad ora nel proprio specifico settore”.
Nelle notizie in tempo reale la Repubblica inseriva tra i vari titoli:
“Ipso: oceani al collasso in una generazione”
Ebbene sì.
L’acidificazione degli oceani è un problema che riguarda tutti noi.
Di che si tratta?
Andando “a naso”, potremmo pensare al cibo…Qualsiasi cosa, divenendo acida, non risulta affatto gradevole.
L’aggettivo si utilizza pure per le persone.
Quelle che appaiono maligne, covando nell’animo forme di astiosità malamente contenute. (Secondo Enciclopedia Treccani)
Nel caso degli oceani…il pericolo è tutt’altro che apparente. E non possiamo semplicemente “evitare di frequentarli”.
L’acidificazione è una reale minaccia per la sopravvivenza della vita! La scomparsa progressiva di specie animali e vegetali potrebbe raggiungere il punto di non ritorno.
Come il cambiamento climatico (come il Covid 19): l’acidificazione è democratica.
Non risparmiano nessuno e nessuna zona del pianeta.
Ma i pericoli irreversibili cui andiamo incontro, possono ancora essere evitati. Mediante azioni mirate e decise.
“Oggi, è un imperativo morale evitare ulteriori rischi”
Lo afferma Tim Lenton, climatologo presso l’Università di Exeter.
Non è “solo” un diritto delle generazioni future. Lo chiedono a gran voce i più giovani:
“Cosa vogliamo? Giustizia climatica! Quando la vogliamo? Adesso!”
Acidificazione degli oceani: effetti sulla nostra vita
L’acidificazione degli oceani è soprannominata il “gemello nascosto” del riscaldamento globale.
…cosa vuol dire questo per ciascuno di noi, oggi?
Ce lo racconta il dottor Enric Sala.
Prima però ve lo presentiamo. Sala è un ex professore universitario, c’è stato un momento nella sua vita in cui ha capito di star scrivendo il necrologio della vita oceanica.
Così ha lasciato il mondo accademico.
È diventato un conservazionista a tempo pieno. Un Explorer-in-Residence per National Geographic.
Ha fondato e conduce Pristine Seas. Progetto che combina esplorazione, ricerca e comunicazione. Per ispirare i leader (politici) a proteggere l’oceano.
Perché ha deciso di cambiare la sua vita? Rispondendo a questa domanda torniamo anche al nostro focus.
Gli effetti dell’acidificazione degli oceani sulla nostra esistenza.
Le sue parole sul sito del World Economic Forum spiegano tutto limpidamente.
In sintesi, abbiamo generato un grave sbilanciamento tra noi e la natura.
- Abbiamo perso il 60% della fauna terrestre e il 90% dei grandi pesci oceanici;
- Circa il 96% di tutti i mammiferi sulla terra sono esseri umani e il nostro bestiame addomesticato;
- Solo il 4% a rappresentare “il resto”: dagli orsi, agli elefanti, alle tigri.
Rischiamo l’estinzione di 1 milione di specie durante questo secolo. La perdita di queste specie e di tutti i “beni e servizi” che ci offrono, significherebbe il collasso del nostro sistema di supporto vitale.
Di tutto ciò a cui teniamo e di cui abbiamo bisogno per sopravvivere. Il cibo, la salute, l’economia, la nostra sicurezza.
“La buona notizia è che possiamo ancora evitare questa catastrofe”.
Il 2021 potrebbe essere (stato) il “super anno” per la natura. Come raccontato nell’articolo green economy e sviluppo sostenibile.
Un tempo in cui concordare collettivamente su come affrontare i rischi per l’umanità.
Cosa si intende per acidificazione? Il caso italiano del Mediterraneo
Insomma, quando (tra qualche istante) inizieranno a chiederci “cosa fai a capodanno?” …potremmo avere le idee molto più chiare 1) sull’acidificazione degli oceani 2) sul resoconto del super anno per la natura…piuttosto che sul cenone da preparare o prenotare.
Passiamo quindi ad un esempio molto vicino a noi italiani.
Una situazione che, parlando di acidificazione degli oceani e delle acque, riguarda le nostre coste.
Tra gli inquilini più preziosi dei fondali del mar Mediterraneo c’è l’Ellisolandia elongata, o più semplicemente corallina comune.
Le ramificazioni di questa piccola alga calcarea, di colore rosato, arrivano a un’altezza di una decina di centimetri.
Habitat di crostacei, molluschi e stelle marine. Nascondiglio ideale di tante uova. In parole povere, un’oasi ricca di biodiversità.
Cosa accadrà se entro la fine del secolo le temperature medie globali saliranno di tre gradi centigradi e il pH del mare si abbasserà (acidificazione) di 0,3 punti?
Le previsioni sono del Panel intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (Ipcc),
Un gruppo di ricercatori italiani e inglesi ha ricreato tali condizioni, per tre mesi, in acquario.
I risultati, nelle pagine della rivista Frontiers in marine science, sono alquanto desolanti.
La corallina comune cresce più lentamente, la fauna che la abita si impoverisce in quantità e in varietà.
Le ripercussioni? Sull’intera catena alimentare.
Tuttavia, c’è chi agisce ora!
Proprio come richiesto all’unanimità da Greta Thunberg e dai giovani attivisti di Fridays for Future. (A Milano il primo ottobre)
“Siamo qui per dire che non siamo più disposti ad accettare questo sistema di sviluppo”.
Sala e il progetto Pristine Seas rispondono all’appello.
Nel tempo hanno creato 22 delle più grandi riserve marine del pianeta. Coprendo un’area di 5,7 milioni di km quadrati.
Acidificazione degli oceani: cause e conseguenze
Scopriamo che, l’acidificazione degli oceani (e delle acque) non è un problema da considerare in maniera isolata.
L’aumento della temperatura globale, ed anche la pesca intensiva, stanno mettendo a dura prova la sopravvivenza (non solo nostra).
Perché l’acidificazione è il gemello nascosto del riscaldamento globale? Perché non si vede come i rifiuti galleggianti, ma l’origine è la stessa: rilascio record di CO2 dalle attività antropiche.
Prima fra tutte la combustione di energie non rinnovabili. Poi il disboscamento… e altre azioni simili.
L’eccesso di anidride carbonica sta avendo effetti profondi nell’acqua. Gli oceani diventano più acidi e più velocemente che in qualsiasi momento della storia geologica.
Una cattiva notizia per la maggior parte delle creature che vivono nell’oceano.
Molte delle quali sono sensibili a sottili cambiamenti di acidità del loro habitat acquatico. È problematico per i coralli, le ostriche e altre creature con gusci o scheletri di carbonato delicati.
“Se un domani le persone potessero esplorare gli abissi così come viaggiano nei cieli, forse si renderebbero conto di quanta bellezza c’è e di quanti danni abbiamo causato.”
Afferma Sylivia Earle, 85 anni appena compiuti. L’oceanografa più famosa al mondo definita la signora degli abissi.
Niente regali per il suo compleanno, una richiesta: fondi per gli hope spot.
Luoghi di speranza per un cambiamento.
Aree da proteggere, riserve marine da ripopolare, specchi di mare dove intraprendere battaglie per la conservazione. Perché questa donna ha una Mission Blue: fare di tutto per salvare i mari.
Credevamo che l’oceano avesse risorse infinite? Non è affatto così e noi abbiamo rotto i suoi equilibri.
“Ma qualcosa ricompare di positivo: penso a balene e tartarughe che, dove si è smesso di cacciarle e dove vengono protette, in certi casi sono di più di quando ero bambina”.
È un insegnamento: dove proteggiamo, le creature recuperano.
Quale percentuale di anidride carbonica rilasciata in atmosfera viene assorbita dagli oceani?
Gli oceani hanno sempre assorbito e “sputato” anidride carbonica, anche quando non si parlava di acidificazione degli oceani.
Facendo la spola tra l’atmosfera e l’acqua. Uno scambio avvenuto lentamente.
La maggior parte del carbonio, sotto forma di CO2, rimane nell’atmosfera. Dove intrappola il calore e contribuisce al riscaldamento del pianeta.
Nel corso delle ultime centinaia di anni, circa il 30% di tutta l’anidride carbonica in più che gli esseri umani hanno aggiunto all’atmosfera è ricaduta negli oceani.
Ora, annualmente, l’oceano risucchia circa il 25% della CO2 extra emessa.
Questa è una buona cosa per l’atmosfera. Senza quel prelievo extra di anidride carbonica, il pianeta si riscalderebbe ancora di più di quanto non accade già.
Ma è una cattiva notizia per gli oceani!
Alla fine del 1700, gli oceani si erano equilibrati per essere leggermente alcalini, con un pH di circa 8,1. (L’acqua perfettamente distillata è circa 7 sulla scala del pH; il succo di limone e l’aceto misurano da 2 a 3).
Il pH dell’oceano si è spostato su scale temporali geologiche. Durante le fasi fredde del passato del pianeta, è salito (diventando più alcalino) di qualcosa come 0,2 unità di pH.
Ed è sceso (diventando più acido) di circa la stessa quantità quando il pianeta si è riscaldato.
Ma ci sono volute decine di migliaia di anni perché questi cambiamenti avvenissero. Tempo per le creature che vivono nei mari per adattarsi al cambiamento.
La superficie degli oceani ha registrato un calo di circa 0,1 unità di pH dall’inizio della rivoluzione industriale. Un battito di ciglia nel tempo geologico o evolutivo.
Potrebbe non sembrare un grande cambiamento, invece è significativo. Poiché la scala del pH è logaritmica, come la scala Richter per i terremoti!
Questo piccolo spostamento significa che l’acqua è circa il 28% più acida di prima.
Perché l’acidificazione degli oceani mette in pericolo la biodiversità? …e l’economia
Gli esseri umani hanno disturbato un lento scambio naturale. Ecco che l’acidificazione degli oceani diventa una catastrofe!?
Dall’inizio della rivoluzione industriale, a metà del XVIII secolo, gli uomini hanno aggiunto circa 400 miliardi di tonnellate di carbonio all’atmosfera.
Praticamente l’acidificazione è un sottoprodotto: delle quantità di combustibili fossili che abbiamo bruciato per l’energia, alberi che sono stati abbattuti, cemento che abbiamo generato…e tanto altro ancora.
Il “rapido cambiamento” sta stressando tutto ciò che vive nel mare (e sulla terra).
L’acidificazione ammorbidisce i gusci delle capesante. Rallenta la muta di granchi, aragoste e altro. Indebolisce i coralli. Confonde i pesci, disturbando il loro olfatto.
Può cambiare il modo in cui i suoni si trasmettono attraverso l’acqua, rendendo l’ambiente sottomarino leggermente più rumoroso.
Il futuro riserva ancora più sfide.
Continuando così, entro il 2050, gli scienziati prevedono che l’86% dell’oceano mondiale “peggiorerà”.
Entro il 2100, il pH dell’oceano superficiale potrebbe scendere sotto il 7,8 (più del 150%). Potenzialmente anche di più, in alcune parti sensibili del pianeta, come l’Oceano Artico.
Pensiamo allo pteropode (farfalla di mare minuscola) essenziale per molte reti alimentari. (Mangiata da organismi che vanno dal piccolo krill alle balene.)
I gusci degli pteropodi, messi in acqua di mare con un pH e livelli di carbonato previsti per l’anno 2100, si sono dissolti dopo 45 giorni.
I ricercatori hanno già scoperto gravi livelli di dissoluzione dei gusci degli pteropodi. Nell’Oceano del Sud, che circonda l’Antartide.
…i cambiamenti nella chimica dell’oceano possono influenzare anche il comportamento degli organismi non calcarei!
La capacità di alcuni pesci, come il pesce pagliaccio, di individuare i predatori è diminuita in acque più acide.
Quando questi organismi sono a rischio, l’intera rete alimentare è a rischio.
Molti posti di lavoro ed economie, in tutto il mondo, dipendono dal pesce e dai molluschi che vivono nell’oceano…
Come risolvere l’acidificazione degli oceani? Dalla ricerca alla politica
Anno 2021, è primavera. Tutto fiorisce e ci si chiede: è possibile affrontare contemporaneamente l’aumento della concentrazione di CO2 nell’atmosfera e la conseguente acidificazione degli oceani?
La ricerca del progetto DESARC-MARESANUS esplora la fattibilità di questo processo nel Mar Mediterraneo e i risultati sono incoraggianti.
Anno 2019. È l’autunno prima della pandemia. Il Consiglio Europeo chiedeva un’azione politica rafforzata a tutti i livelli di governo: per proteggere gli ecosistemi marini e costieri.
Otto richieste d’intervento emergono nel documento conclusivo:
- un utilizzo sostenibile delle risorse marine;
- una blue economy sostenibile. Il ruolo dei settori economici connessi agli oceani, ai mari e alle coste, compresi la pesca, il trasporto marittimo e le energie rinnovabili offshore;
- maggiore coordinamento in materia di sicurezza marittima. Compresa la cooperazione circumpolare in campo meteorologico e oceanografico;
- la protezione dell’Artico, delle regioni ultraperiferiche e dei paesi e territori d’oltremare. Data la loro particolare vulnerabilità ai cambiamenti climatici;
- la riduzione dei rifiuti marini. Compresi i rifiuti di plastica e le microplastiche;
- la garanzia di oceani sani e resilienti;
- la protezione della biodiversità degli ecosistemi marini e costieri vulnerabili;
- l’intensificazione della ricerca e delle scienze oceaniche.
L’ecosistema più grande del Pianeta, quello marino, è in pericolo e ci chiede aiuto. La ricerca, l’arte, i giovani (i cui figli nel 2100 avranno neanche 80 anni) ci invitano a riflettere.
Acidificazione degli oceani: soluzioni possibili, immaginabili!
I tempi sono brevi, ma le soluzioni esistono! La vita marina rischia l’estinzione nel giro di una generazione, anche a causa dell’acidificazione degli oceani…ma sconfiggere la paura, come c’insegna Sylvia Erle, significa non arretrare di un passo!
Nella sua Mission Blue: piani di contrasto alle reti derivanti e illegali, politiche contro la plastica abbandonata, azioni contro la sovrapesca….
E ancora: vuole proteggere il 30% degli oceani del mondo entro il 2030. Attualmente sono stati implementati e sviluppati progetti per oltre 110 hope spot nel mondo.
Altri arriveranno! Perché come dice lei:
“è un’illusione pensare che chiunque possa vivere senza l’oceano. Anche se non lo vedi o non lo tocchi, all’oceano devi ogni respiro che fai”.
Secondo la Earle:
“abbiamo bisogno di un movimento globale di persone che utilizzino i loro talenti e competenze unici per creare soluzioni innovative ai cambiamenti climatici”.
Di giovani con le competenze ce ne sono, ognuno di noi deve seguire il proprio cammino.
Ognuno, con un piccolo contributo, può fare molto. Una singola azione, ripetuta, provoca un cambiamento!
Più o meno dello stesso parere sono gli appassionati sostenitori di OccupyClimateChange. Che ci invitano:
“occupiamo le storie sul clima!”
Sul sito riportano l’input di Ursula Le Guin. Viviamo nella crisi dell’immaginazione!?
Molti hanno detto che è più facile immaginare la fine del mondo che immaginare un altro mondo.
OCC! desidera innescare un’esplorazione immaginativa nel futuro attraverso un esercizio di scrittura creativa: come sarebbe il luogo in cui vivi nell’anno 2200?
Così, raccolgono voci da tutto il mondo.
“Permettendo alla nostra immaginazione di ampliare i futuri possibili, probabili e preferibili”.
Il futuro lo scriviamo noi
Non possiamo “limitarci” a parlare di acidificazione degli oceani…ci chiediamo anche quanto sia difficile prendere posizione di fronte a certi dilemmi.
Già ne scriveva, 20 anni fa, la professoressa Belloni (Università di Torino). Nei Quaderni di sociologia.
Invitandoci ad osservare come esistano, nella comunicazione ambientale, analogie e differenze con il campo contiguo della comunicazione scientifica.
In entrambi i casi la richiesta di informazione, da parte del pubblico “laico”, è aumentata sempre più.
In modo particolare è aumentato il bisogno di ottenere dai contesti specialistici, rassicurazioni sulle capacità previsionali e di controllo. (Come accade per esempio in uno stato di malattia).
Ma, la scienza (compresa quella dell’ambiente) è impossibilitata ad indicare interpretazioni univoche e incontrovertibili.
E l’attuale esistenza di fonti d’informazione plurime, a cui ciascuno può far ricorso senza particolari competenze interpretative, favorisce sentimenti di sfiducia verso il sapere (scientifico).
Nasce l’indisponibilità ad accettare la (possibile) mancanza di soluzioni “certe”.
Stato generale di incertezza cognitiva, forme di disorientamento, mancanza di fiducia, adesione ideologica o fideistica…rifiuto di informazione da parte del pubblico…
Ma questo è solo ciò che è accaduto o potrebbe accadere.
Il futuro lo scriviamo noi!