L’agricoltura idroponica è davvero green? Scopri se è un’alternativa concreta per il futuro
L’agricoltura idroponica è una pratica che consiste nella coltivazione di piante in soluzioni acquose. Soluzioni costituite da sali nutritizi.
Dunque, non è previsto l’utilizzo del terreno.
Attualmente, possiamo considerarla un’opzione molto valida rispetto ad altri tipi di agricoltura. Ma tutto dipende, come al solito, dalle modalità e dagli obiettivi.
Le politiche inerenti la green economy guidano molte delle scelte personali e aziendali che ci troviamo a compiere.
In Europa e nel resto del mondo!
Non bisogna dimenticare, però, che ogni “regione” del nostro pianeta è diversa. Quindi possiede potenzialità specifiche e limiti ben precisi.
Detto questo, sappiamo che l’idroponica e l’agricoltura verticale stanno entrando a far parte delle pratiche abituali. Anche in Italia.
Potete immaginare cosa accade coltivando su più livelli?
Riduciamo la quantità di suolo sfruttato! L’impoverimento del terreno e la perdita di minerali.
Abbiamo un maggiore controllo delle colture durante tutto l’anno.
Rispetto all’agricoltura tradizionale diminuisce fino al 90% il consumo idrico. E aumenta la produttività fino al 20%.
Inoltre, possiamo coltivare senza pesticidi e fertilizzanti.
Ecco perché le coltivazioni fuori suolo si sviluppano con successo.
Recenti ricerche internazionali hanno evidenziato come il settore presenti tassi di crescita superiori al 20% medio annuo fino al 2026.
Secondo le stime, nel 2015 il mercato agricolo verticale era pari a 1,2 miliardi di dollari. Raggiungerà i 9,9 miliardi di dollari entro il 2025.
Agricoltura idroponica: cos’è?
L’agricoltura idroponica fu introdotta da J. Sach (1859) e da J. Knop (1860). Lo scopo era quello di studiare l’assunzione delle sostanze minerali da parte della pianta.
La tecnica di laboratorio prevede la preparazione di soluzioni molto diluite di sali inorganici e di altri composti. In vasi di vetro (o di porcellana).
Una volta che le piante iniziano a svilupparsi devono essere sorrette meccanicamente. Mantenendo le radici immerse nel liquido.
Con il sistema idroponico si possono coltivare piante erbacee e legnose. Fino alla loro fruttificazione.
Rispetto alle coltivazioni in terra le produzioni sono molto elevate, per la mancanza di competizione tra pianta e pianta.
Gli elementi nutritizi, infatti, vengono resi disponibili a tutte le radici. Anche se presenti in densità elevate. In più, si può utilizzare al meglio lo spazio a disposizione. Per esempio, disponendo i contenitori su piani diversi.
Per questo l’agricoltura idroponica e il vertical farming vengono considerate tecniche complementari.
La maturazione può essere pilotata agendo sulla composizione della soluzione e i cicli produttivi possono essere continui.
Gli impianti sono generalmente formati da:
- vasche di coltura. Fatte di qualsiasi materiale inerte purchè si possa sterilizzare;
- supporto meccanico. Di cui si può fare a meno se le piante vengono sorrette con fili o altri sistemi fai da te;
- deposito per la soluzione nutritizia;
- circuito idraulico.
La soluzione nutritizia viene a contatto con le radici discontinuamente e può essere “a perdere” oppure, nei casi più frequenti, ricircolata. Provvedendo alle opportune integrazioni.
Certo, per quelli di noi affezionati ai “prodotti della terra” risulterà strano trovarsi a raccogliere frutti così puliti.
Ma, tutto ciò accade, tra vantaggi e svantaggi offerti dall’epoca in cui viviamo. Ed in conseguenza della nostra impronta ecologica.
Troppo spesso aggressiva per gli ecosistemi.
Agricoltura idroponica: ricerca, imprese e amministrazione d’avanguardia
Perché in Olanda l’agricoltura idroponica ha avuto così tanto successo?
“Il segreto del successo olandese è racchiuso nel triangolo d’oro, cioè la collaborazione tra imprese, amministrazione pubblica e settore della ricerca”
Lo spiega ad AgroNotizie Cecilia Stanghellini. Ricercatrice italiana che ormai da trent’anni lavora e insegna all’Università di Wageningen.
Intorno a Wageningen si concentrano aziende e startup che collaborano per il progresso del settore primario. L’Università, infatti, è considerata a livello globale il polo d’eccellenza della ricerca in agricoltura.
C’è chi pensa che questo successo sia dovuto a ciò che accadde durante gli ultimi mesi dell’occupazione nazista nel 1945.
Quasi 20mila persone nei Paesi Bassi morirono di fame. Quel momento è passato alla Storia come “l’inverno della fame olandese”.
Da tutto ciò gli agricoltori locali hanno tratto importanti insegnamenti.
Le risorse naturali non sono scontate e lo spreco va combattuto!
Questa preziosa consapevolezza, a quanto pare, ha spinto a modernizzare la gestione del territorio e dei campi. Fino a trovare nelle serre una chiave di volta.
Così, un Paese grande quanto Lombardia e Veneto messe insieme, è il secondo esportatore mondiale di cibo in termini di valore. (Secondo solo agli Stati Uniti, che ha 270 volte la sua massa continentale.)
A livello globale i Paesi Bassi hanno esportato nel 2015 ben 82,4 miliardi di dollari in prodotti alimentari. Il doppio dell’Italia.
Nel 2016 il nostro Bel Paese ha importato dall’Olanda circa 37mila tonnellate di pomodori da mensa. Per un controvalore di circa 53 milioni di euro.
Il paradosso è che l’Olanda, a differenza dell’Italia, non è un paese dal clima favorevole alla crescita di questo ortaggio.
Il successo, come abbiamo visto, non sta semplicemente nelle serre. E non è detto che l’agricoltura idroponica sia l’unica risposta possibile!
Idroponica: quanto è green?
Sarà vero che l’agricoltura idroponica sta guardano al futuro?
L’imminente transizione ecologica e la decarbonizzazione richiedono che l’agricoltura combini varie soluzioni.
Così, il gruppo di ricerca della dottoressa Stanghellini si è messo all’opera.
Hanno inaugurato la serra “prototipo 2030”.
Che si serve dell’illuminazione artificiale anche come fonte di calore.
Si tratta di un sistema di raffreddamento/deumidificazione (con pompe di calore) che raccoglie l’energia in eccesso per riutilizzarla.
Inoltre, prevedendo che certe serre non saranno applicabili su larga scala, stanno valutando come immagazzinare l’energia solare estiva in eccesso per reimpiegarla in inverno.
Una sfida all’insegna dell’economia circolare.
Entro il 2040, gli orticoltori olandesi vogliono diventare neutrali dal punto di vista climatico.
E il giornalista di Forbes, Jordan Strickler, ha indagato su quali saranno “i mezzi”. Per raggiungere l’obiettivo:
- controlleranno meglio l’energia nelle serre;
- irrigheranno con più efficienza;
- utilizzeranno disinfestanti biologici per patologie da insetti;
- grazie alle finestre intelligenti isoleranno il raccolto in inverno e rinfrescandolo in estate.
Dunque, stiamo parlando di avanguardia per l’agricoltura idroponica.
“Grazie alle innovazioni tecniche, possiamo generare un raccolto più ampio utilizzando le stesse risorse dell’agricoltura standard”
Questo, secondo Frank Kempkes, ricercatore di energia e clima a effetto serra. (Presso l’università di Wageningen.)
Oltre alla sfida ambientale, infatti, esiste quella della fame!
Secondo diversi studi, entro il 2050 avremo bisogno del 70% di cibo in più.
Servirebbero davvero due Pianeti per avere terra e acqua che producano cibo sufficiente per tutti?
Bisogna tenere presente almeno qualche altro dato.
Secondo il Food waste index report lo spreco alimentare (2019) ha coinvolto 931 milioni di tonnellate di alimenti. Il 17% del cibo disponibile.
La cementificazione selvaggia, le coltivazioni intensive e l’uso di prodotti chimici ci sottraggono risorse.
La Fao ha stimato che una gestione sostenibile dei suoli, potrebbe aumentare la produzione di cibo fino al 58%.
Alternative green: rispondere alle problematiche attuali e future
Oltre all’agricoltura idroponica, agli investimenti per recuperare territori e foreste, all’eliminazione dell’abuso di suolo…alla graduale eliminazione dello spreco alimentare…(e cosi via)
Nasce la possibilità di coltivare limitando o evitando l’utilizzo dell’acqua.
Avete mai sentito parlare di Waterless Farming? Un’altra tecnica agricola rivoluzionaria.
Francis Freeman è agricoltore e autore di un e-book dedicato al tema. Dopo lunghi studi ha sperimentato con successo questi metodi.
Ricavandone la soddisfazione di raccogliere prodotti sani e nutrienti, minimizzando il ricorso ai macchinari e alle risorse idriche.
Per capire l’importanza della waterless farming basta citare alcuni dati.
La popolazione mondiale è salita dai quattro miliardi del 1975 agli oltre sette del 2015.
Circa il 35% delle terre emerse è già destinato all’agricoltura e all’allevamento.
Quasi il 70% dell’acqua potabile è impiegato per soddisfare le esigenze del settore primario.
Quasi 1.000 persone al giorno muoiono per cause riconducibili a carenze idriche.
S’impone l’implementazione di pratiche alternative che agiscano in maniera complementare. Per una risoluzione multilivello!
Come richiesto da tanti ricercatori e dalla stessa Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.
Tali obiettivi sono riscontrabili anche nella waterless farming. Nata da motivazioni etiche, ecologiche ed economiche. E che permette di estendere l’agricoltura anche in aree aride o non particolarmente fertili.
Contribuendo così a combattere la fame nel mondo. Nonché a risolvere una serie di problemi ambientali connessi all’applicazione di tecniche agricole dannose.
L’agricoltura senz’acqua, le aziende biodinamiche, l’idroponica, l’acquaponica, l’agricoltura biologica. Si prefiggono tutte di tutelare il delicato ecosistema in cui viviamo.
La scelta è green se è adatta. E lo è solo nel momento in cui prendiamo in considerazioni le specifiche caratteristiche di un territorio.
Agricoltura idroponica in Italia
L’agricoltura idroponica italiana dal punto di vista di Stefania De Pascale ha ottime chance.
Secondo la professoressa, ordinaria di Orticoltura e Floricoltura all’Università Federico II di Napoli:
“Per l’Italia servirebbe una via all’innovazione della serricoltura che sia adeguata alle esigenze del territorio e del tessuto produttivo.”
Che tenga conto delle caratteristiche pedoclimatiche della penisola e che sia sostenibile non solo da un punto di vista ambientale. Anche economico, per gli agricoltori.
Il costo dell’innovazione, secondo lei, non è poi così elevato.
E di innovazioni a portata di mano ce ne sono tante sul mercato. Ma, spesso non arrivano in campo.
Quali sono queste innovazioni a portata di mano?
Un caso di successo è quello di Sfera Agricola, in Toscana.
Vicino Grosseto, sorge un parco da 13 ettari, che rappresenta:
“la serra idroponica più grande e più avanzata d’Italia, oltre a essere la più estesa del Sud Europa”
Lo scrive La Stampa.
Ortaggi come pomodori, cavoli e basilico vengono prodotti senza consumare il suolo e senza l’uso di pesticidi.
Poi c’è il progetto lanciato in Veneto dall’Enea e ribattezzato Ri-Genera. Tra gli obiettivi: trasformare strutture abbandonate come capannoni industriali o vecchie caserme in serre verticali.
Naturalmente a coltivazione idroponica.
A Cavenago, alle porte di Milano, Planet Farms.
Startup fondata da Luca Travaglini e Daniele Benatoff. Una struttura di oltre 9mila metri quadrati, progettata dallo Studio Dordoni Architetti.
La produzione sarà 365 giorni all’anno, senza sprechi o scarti nocivi, senza pesticidi, con elevato apporto nutrizionale.
Planet Farms è stata insignita a marzo da Confagricoltura del “Premio Nazionale per l’Innovazione in Agricoltura”.
In programma per il futuro prossimo c’è la costruzione di altri cinque stabilimenti in diversi Paesi Europei.
Dove si rivela green l’agricoltura idroponica?
Ad investire su orti verticali e agricoltura idroponica sono soprattutto le città.
In alcuni casi l’iniziativa parte da comunità locali, in altri, prestigiosi studi di architettura firmano progetti all’avanguardia.
In pratica, ci si avvale della tecnologia per rendere le città più autosufficienti dal punto di vista alimentare.
Diminuendo così anche il loro impatto sulle campagne!
Coltivare in alto, su terrazzi e tetti, conviene. Perché l’esposizione solare è maggiore, ma anche perché le polveri sottili tendono a depositarsi verso il basso.
Uno dei progetti internazionali di orti urbani verticali più all’avanguardia?
Il distretto agricolo urbano di Sunqiao, a Shanghai.
A Shanghai risiedono quasi 24 milioni di persone e la rapida crescita della capitale economica, minaccia il sistema di agricoltura. (Di scala più piccola rispetto al modello occidentale.)
Sunqiao rappresenta un nuovo approccio urbano all’agricoltura dietro al quale c’è Sasaki. Studio di architettura internazionale.
L’obiettivo è dimostrare che non solo i grattacieli possono svilupparsi in verticale.
Possono fare altrettanto anche le aziende agricole. Il nuovo piano per questo distretto, si concentra sull’integrazione dell’agricoltura verticale con la ricerca.
La dieta degli abitanti di Shanghai, per il 56% consiste in verdure ricche di foglie. Quindi permette di optare per sistemi di coltivazione idroponici e acquaponici.
Negli Stati Uniti, i sistemi di coltivazione idroponica sono ancora fantascienza e le aziende agricole verticali fanno fatica a prendere piede.
In Cina, invece, sono la soluzione al problema della costante crescita della popolazione e al conseguente aumento di produzione alimentare.
Tuttavia, abbiamo un esempio anche a New York: Gotham Greens.
Azienda agricola che da qualche anno fornisce anche agli abitanti di Chicago ortaggi e frutta. Coltivati senza l’uso di pesticidi e con un sistema di irrigazione basato sul riutilizzo dell’acqua.
L’azienda, è stata la prima a progettare negli Stati Uniti una serra urbana commerciale idroponica.
Agricoltura idroponica: fai da te!
Il prodotto finale dell’agricoltura idroponica nel confronto con quello di una coltura “tradizionale” è sicuramente diverso.
In primis il sapore. In quanto italiani sappiamo bene che ogni prodotto DOP o IGP, ha una caratteristica inconfondibile. Il “sapore” di quella terra!
Quindi, potremo avere dei raccolti di acquaponica anche abbondanti, ma comunque un po’ meno saporiti.
Questo però non deve creare un precedente per non optare o investire su un impianto idroponico.
Per esempio, negli anni passati gli agricoltori olandesi puntavano soprattutto su grandi volumi.
Dalla Germania, che importa circa due terzi dei pomodori olandesi, si è levata la protesta dei consumatori per le wasserbomb (bombe d’acqua).
Frutti belli ma insapori.
C’è stato quindi un riposizionamento della produzione verso varietà meno produttive ma più gustose.
Stesso discorso vale per l’idroponica fai da te! Di estrema facilità per tutti gli appassionati, anche secondo il manuale di Davide Diana “Tutta l’idroponica che vuoi”.
Se in passato era quasi un passatempo, oggi può veramente fare la sua parte per il miglioramento della salute del nostro amato pianeta.
L’agricoltura idroponica è una tecnica decisamente green. Ma, come accennato, molto dipende da modalità e obiettivi.
Ci troviamo a fare i conti con “il punto di non ritorno”. Come non tenere in considerazione (per esempio) quanto documentato in Before the Flood. (Di Leonardo di Caprio, nominato ambasciatore di pace per il clima alle Nazioni Unite.)
E noi non siamo così impreparati!
In un sondaggio dell’osservatorio Waste watcher, l’81% dei cittadini italiani si è dichiarato consapevole che il cambiamento debba avvenire innanzitutto all’interno della propria famiglia.
A partire dai comportamenti quotidiani, attraverso una spesa più intelligente che limiti gli sprechi e una dieta più sana.
Che faccia bene non “soltanto al corpo” …ma anche all’ambiente!