Dove si butta l’olio di frittura? Scopri la soluzione rapida ed ecologica
Sembra quasi un quiz a premi di quelli del mitico Mike Bongiorno: “Allegria!!!” …Dove butto: olio frittura? Dove si buttano: le pentole? Carta forno: dove si butta?
Ma no. Non è un “gioco per casalinghe”! Non è un divertente programma televisivo per “passare la serata”.
Quella era un’altra epoca.
Gli uomini e le donne che lavorano in casa, oggi più di ieri, sono tutt’altro che annoiati.
Quando proviamo a rispondere alle domande relative alla raccolta differenziata ci stiamo occupando dei nostri piccoli gesti quotidiani.
Quelli per cui sembra non esserci più tempo.
Eppure sono esattamente quelli, che ci permettono di salvaguardare l’ambiente.
E il nostro benessere.
Chi vuole diminuire il suo impatto inquinante, scoprirà “le mille e una azioni” da consolidare tra le abitudini della routine quotidiana.
Come per magia, ad un certo punto, ci accorgiamo che dall’impronta ecologia positiva della nostra cucina, può scaturire tanto altro…
Il tema dell’inquinamento è diventato uno degli argomenti più discussi, perché negli ultimi anni ci siamo resi conto di aver esagerato. Le coscienze di (quasi) tutti sono in “fase risveglio”.
Praticamente ogni nazione del globo sta mettendo in atto misure di tutela e valorizzazione nei confronti dell’ambiente.
Moltissimo accade proprio iniziando dal corretto smaltimento dei rifiuti.
Molto altro a partire dai sistemi produttivi ispirati dal concetto di economia circolare.
E ancora, stiamo cambiando il nostro modo di guardare alle risorse, ai materiali…al consumo.
Vorremmo (finalmente) assicurarci un futuro equo, a partire per esempio, dall’utilizzo di energia sostenibile per tutti.
Per questo la “rivoluzione” coinvolge ogni singola persona.
Proprio cominciando da piccoli gesti quotidiani, da compiere all’interno e all’esterno delle accoglienti mura domestiche.
Dove butto: olio frittura? Un rifiuto “non facilmente smaltibile”
Iniziamo subito con la prima domanda (del nostro quiz preferito), dove butto: olio frittura.
L’olio utilizzato per la frittura non si può buttare: né dentro il lavandino della cucina, né nello scarico del gabinetto.
L’olio con cui friggiamo è un rifiuto pericoloso. E non solo perché quando è bollente potrebbe ustionarci.
È uno di quegli scarti, cosiddetti “non facilmente smaltibili”.
Allora non friggiamo più!? Rinunciamo a quel sapore così unico?
Non è detto che le soluzioni debbano essere sempre troppo drastiche (o punitive).
Il problema possiamo risolverlo (dopo aver gustato questo piatto sicuramente prelibato) raccogliendo l’olio esausto.
Esausto? Sì, perché dopo averlo adoperato per friggere, non è più utilizzabile in cucina!
Quindi, scegliendo appositi contenitori, potremo portarlo in una delle isole ecologiche di cui le città sono dotate. Se in genere durante il giorno il tempo sembra passare così velocemente da non averne mai abbastanza…dopo averlo raccolto possiamo tenerlo da parte.
Lo porteremo nell’isola ecologica più vicina…appena ce ne sarà la possibilità.
Ci sono anche distributori di benzina che provvedono al ritiro gratuito dell’olio esausto!? Si, incredibile.
Chissà quante volte, dopo aver fritto, abbiamo buttato l’olio residuo nel lavandino o nello scarico del bagno.
E in pochi sanno che si tratta di un illecito. La maggior parte di noi avrà pensato che fosse la cosa più giusta da fare!
Invece, la legge per prima, vieta di smaltire l’olio delle fritture nei tubi delle fogne.
Ma quel che è fatto… è fatto!
Ora sappiamo che si tratta di un rifiuto di cui sbarazzarsi seguendo alcune procedure. Più o meno simili a seconda dell’utenza.
Un’azienda (un ristorante, una pizzeria, una paninoteca) o un privato (una famiglia), cercheranno di avere la stessa cura, ma percorreranno sicuramente strade diverse.
Come si smaltisce l’olio di frittura?
La domanda numero 1 del nostro quiz risulta alquanto appassionante. Dove butto l’olio della frittura? E soprattutto: perché l’olio è considerato pericoloso?
Stiamo parlando di un liquido che raggiunge temperature altissime. Che potrebbe, gettandolo nel lavandino o in bagno, danneggiare le tubature dell’appartamento o del condominio.
Allora, prima di ogni altra cosa, ricordiamoci: “chi ha tempo non aspetti tempo” vale solo in determinate situazioni!
Prendiamoci un attimo per fare una chiacchierata con un’amica o per una passeggiata con il nostro cagnolino.
Senza rendercene conto avremo avuto l’accortezza di far raffreddare l’olio. A quel punto, potremmo anche travasarlo nel recipiente per lo smaltimento.
L’olio fritto non è biodegradabile e non è organico. Quando viene disperso nell’acqua va a formare un velo spesso che impedisce ai raggi solari di penetrare.
Potrebbe addirittura rendere l’acqua non potabile, creando una pellicola sulla falda acquifera…
È vietato, tra l’altro, lasciare l’olio accanto ai cassonetti della spazzatura. È considerato un rifiuto pericoloso e va trattato come tale.
Come smaltire l’olio da cucina: ristoranti, pizzerie e altri locali
Se a chiedersi “dove butto: olio frittura” piuttosto che, dove si buttano le pentole, o dove si buttano i gusci delle cozze è una ditta che svolge attività di somministrazione di alimenti, bevande e ristorazione…il discorso è un po’ diverso.
Per le aziende, infatti, l’entità della questione rifiuti è sicuramente superiore a quella di una famiglia.
Quindi, nel caso dell’olio, l’obbligo di non smaltirlo nella fognatura rimane.
E quando destinati al recupero, gli oli di frittura non possono essere assimilati ai rifiuti urbani, perché l’assimilazione vale solo ai fini dello smaltimento in discarica.
Il Conoe (Consorzio nazionale di raccolta e trattamento oli e grassi vegetali e animali esausti) attraverso un’apposita rete di raccolta, provvede al ritiro di questo particolare rifiuto liquido.
Ristoranti, alberghi, rosticcerie, pizzerie e qualsiasi attività da cui vengono generati oli di frittura, li raccoglieranno in contenitori dedicati al recupero/smaltimento.
Poi, contattando un trasportatore autorizzato, è a questi che verrà affidato il ritiro.
La legge prevede una sanzione amministrativa pecuniaria da 270 a 1.550 euro.
A carico di chi, in ragione della propria attività professionale, detenga oli e grassi vegetali e animali esausti e non li conferisca al Conoe. (Direttamente o mediante consegna a soggetti incaricati dal consorzio).
Nel caso di un’impresa artigiana, questa dovrà annotare gli oli prodotti e quelli conferiti, sul registro di carico e scarico.
Se, invece, si trattasse di una impresa commerciale tale obbligo non vige. In ogni caso, sarà necessario compilare, datare e firmare il formulario.
Le pizzerie, i ristoranti, le paninoteche e qualsiasi altro locale possono decidere se:
- accumulare rifiuti senza limiti di quantità, da conferire entro un periodo massimo di 3 mesi;
- mantenere in deposito quantità limitate di rifiuti (non più di 30 metri cubi) per un periodo di tempo maggiore, ma comunque non superiore a un anno.
C’è chi si chiede: dove buttare l’olio del tonno?
Dove si butta l’olio (fritto e non solo) ce lo chiediamo in tutta Italia. Ma in alcuni comuni la situazione è all’avanguardia.
A Milano, per esempio esiste un servizio di raccolta per l’olio alimentare esausto che permette di salvaguardare l’ambiente con molta semplicità.
Dopo averlo raccolto in una bottiglia, basta inserirla nell’apposito contenitore, presente nei punti vendita aderenti.
In alternativa, si può portare l’olio alimentare esausto presso le Riciclerie cittadine e al CAM, (Centro Ambientale Mobile).
Come funziona? Quali oli puoi buttare?
- oli vegetali usati per fritture e per la preparazione degli alimenti
- oli di conservazione dei cibi in scatola (tonno, funghi, carciofini, condimento per riso, sottoli in genere, ecc.)
Cosa bisogna fare?
- Lasciar raffreddare l’olio (se fritto);
- Versarlo in una bottiglia;
- Chiudere bene la bottiglia piena.
Ed ecco che l’olio è pronto per essere consegnato.
Perché raccoglierlo?
Dalla conservazione di alimenti, dalla cottura dei cibi e dalla frittura ognuno di noi produce in media 3 kg di olio esausto. Ma solo un quarto viene recuperato.
Raccogliere l’olio alimentare usato permette di avviarlo a rigenerazione. Per esempio, per la produzione di biodiesel.
E nel contempo di contribuire a ridurre le emissioni di CO2 e di salvaguardare una risorsa preziosa: l’acqua.
Un corretto smaltimento permette non solo di tutelare l’ambiente, ma anche di dare una nuova vita all’olio raccolto. Negli ultimi anni sono sempre più numerose le soluzioni di riciclo dell’olio usato.
Attraverso il processo di rigenerazione l’olio può essere, infatti:
- trasformato in eco-combustibile con un impatto meno inquinante del comune petrolio. Come ad esempio, il biodiesel utilizzato per stufe o caminetti;
- sfruttato per realizzare mangime per animali da fattoria;
- utilizzato come ingrediente per realizzare creme, saponette e lubrificanti vegetali;
- impiegato come ottimo distaccante per il campo edilizio.
Riciclare l’olio esausto? Si può!
Come accennato sopra, per chi si chiede “dove butto l’olio della frittura”, o quello alimentare, le soluzioni esistono.
Abbiamo visto che in Italia ad occuparsi del trasporto, dello stoccaggio, del trattamento e del recupero di oli e grassi esausti è il CONOE.
L’olio vegetale, dal centro di raccolta del comune, viene ritirato dal Conoe e avviato alle varie tipologie di riciclo.
In genere viene utilizzato per la lavorazione di:
- olii lubrificanti minerali;
- asfalti e bitumi;
- biodiesel;
- mastici;
- collanti;
- saponi industriali.
E, a proposito, non solo a livello industriale l’olio può essere riciclato.
Lo racconta Claudia Altavilla nel suo blog appassionante. Dopo il Dottorato di ricerca in Chimica, ha lavorato in vari centri di ricerca nel settore dei Beni Culturali e della Scienza dei Materiali.
Uno dei saponi che propone è quello da bucato. Indovinate un po’?
“Ottenuto per saponificazione di olio esausto di frittura e strutto!”
La dottoressa Altavilla spiega che dopo 2 mesi di stagionatura, questo tipo di sapone sarà pronto per essere usato (non solo per il bucato) ma come sgrassatore liquido! Riducendolo in scaglie e solubilizzato in acqua.
Un eccellente sapone se pensiamo alle sue caratteristiche essenziali: rispetta l’ambiente, i nostri capi e noi stessi.
Non è esattamente questo, il tipo di prodotti/approccio che stiamo cercando all’epoca della transizione ecologica/economica?
Al tempo delle politiche della green economy?
Già nel 2008 l’European Environment parlava di “un nuovo modello di valutazione” dello sviluppo sostenibile (regionale).
L’articolo introduceva il concetto del modello a quattro capitali. E discuteva le questioni relative alla valutazione dello sviluppo sostenibile.
(Descriveva, inoltre, gli indicatori utilizzati per valutare programmi finanziati dai Fondi Strutturali dell’UE.)
Quindi, dal racconto della dottoressa Altavilla, non possiamo che essere orgogliosi e consapevoli del fatto che: per chi ne ha l’intenzione e la volontà…uno stile di “vita green” è possibile!
Cos’è il modello “Quattro Capitali”?
Da “dove butto l’olio della frittura” ai programmi europei che progettano metodi per valutare lo sviluppo sostenibile il passo è breve.
Il modello dei quattro capitali è stato un punto di partenza fondamentale.
Un modello che utilizza il concetto di “capitale” derivato dall’economia e descrive lo sviluppo che avviene attraverso: i servizi e i risultati forniti da quattro tipi di capitale.
Questi sono:
- capitale fabbricato (infrastrutture)
- naturale (risorse naturali)
- umano (salute, benessere e potenziale produttivo degli individui)
- sociale (benessere umano a livello sociale).
Praticamente “gli stessi” utilizzati dalla dottoressa Altavilla nel suo laboratorio Claylart per lavorare sulla ceramica o sul sapone…
Lo sviluppo è considerato sostenibile se questi stock di capitale/beni sono mantenuti o aumentano nel tempo.
A livello Europeo i cambiamenti nei quattro capitali sono monitorati usando indicatori di sviluppo sostenibile (SDI). Gli SDI sono stati sviluppati da diversi gruppi, tra cui Eurostat3
Questo quadro di valutazione è stato utilizzato per valutare l’impatto dei Fondi Strutturali (Europei) attraverso il monitoraggio di SDI selezionati.
Inoltre, dato che gli impatti economici, sociali e ambientali sono molteplici, il quadro valuta anche se gli impatti sono sinergici o in conflitto con obiettivi politici più ampi.
Da “dove buttare l’olio della frittura”, al riciclo…allo sviluppo sostenibile
Le strategie per lo sviluppo sostenibile in Europa miravano e mirano a creare comunità sostenibili. Che siano in grado di gestire e utilizzare le risorse in modo efficiente. Il riciclo dell’olio della frittura, dunque, diviene un piccolo input per riflettere su una situazione molto più ampia.
L’applicazione del modello “quattro capitali”, infatti, ha fornito ai responsabili politici un’indicazione dell’efficacia dei programmi finanziati per raggiungere diversi obiettivi.
Indicazioni, su come, per esempio, i Fondi strutturali dovessero essere usati per cambiare i modelli di sviluppo, produzione e consumo. Al fine di ridurre gli impatti negativi sui quattro capitali.
I fondi strutturali sono utilizzati per finanziare programmi concepiti al fine di aiutare a superare le disuguaglianze economiche e sociali in Europa.
E la valutazione dei programmi finanziati attraverso i Fondi strutturali è fondamentale per garantire che lo sviluppo economico che essi finanziano sia sostenibile e non abbia un impatto negativo sull’ambiente.
Lo sviluppo sostenibile massimizza il benessere umano nel presente, senza portare a un declino del benessere delle generazioni future. Distruggendo o esaurendo le risorse ambientali.
Storicamente, lo sviluppo economico ha cercato di massimizzare la ricchezza dando molto meno peso ad altri beni, come la salute umana, le reti sociali, l’aria e l’acqua pulite e la diversità biologica.
Questo ha creato un circolo vizioso in cui lo sviluppo economico si è spesso verificato a spese dell’ambiente.
Portando a impatti dannosi (a lungo termine) sul benessere della società.