I sacchetti biodegradabili sono davvero eco-friendly oppure inquinano?
Per far fronte al noto problema della plastica, in molti Paesi le normative impongono un certo “comportamento” in quanto a produzione, utilizzo e consumo. Di materie prime e prodotti. In questo contesto, i sacchetti biodegradabili inquinano e provocano danni: se dispersi nell’ambiente!
È logico.
Che si tratti di plastica biodegradabile, compostabile o tradizionale, siamo sempre e solo noi a poter fare la differenza. (E la differenziata!)
La bioplastica dovrebbe avere un’impronta più lieve sugli ecosistemi.
E questo è vero nonostante vari studi ci mettano al corrente del suo impatto.
Per esempio, l’università inglese di Plymouth ha condotto una ricerca nel 2015.
Se n’è occupato Richard Thompson. Biologo marino che ha dedicato la sua carriera allo studio dei rifiuti di plastica.
Per questo si è meritato l’Ordine dell’Impero Britannico dalla regina Elisabetta.
È stato lui a valutare le conseguenze della degradazione naturale per diverse tipologie di sacchetti della spesa. Quelli etichettati come biodegradabili.
I risultati hanno determinato che dopo 3 anni, buona parte dei sacchetti seppelliti in diversi tipi di terreno erano ancora integri e resistenti.
Tanto da poter trasportare ancora un peso di 5 kg.
Quindi, bisogna discernere innanzitutto tra i prodotti in bioplastica biodegradabile che sono compostabili, da altri che non lo sono.
Infine, alcune tipologie di plastiche compostabili, anche se non tutte quelle in commercio, rappresentano una criticità per gli impianti di compostaggio.
Lo spiega Fabio Menghetti, direttore tecnico di Sienambiente.
E data la forte crescita, sarebbe opportuno trovare il modo di trasformarli in ammendanti (fertilizzanti naturali…). Riducendo al minimo la produzione di scarti.
Il gestore dei rifiuti toscano ritiene, infatti, che ci sia ampio margine di miglioramento in termini di grado di compostabilità da parte dei produttori.
Sacchetti biodegradabili: inquinano se…
La verità è, che i sacchetti biodegradabili inquinano nel momento in cui siamo noi a gestirli male.
Un rapporto della Commissione parlamentare britannica per l’Ambiente, ha rilevato che i consumatori sono confusi.
La domanda è ancora una volta quella che riguarda tanti altri prodotti.
Lo abbiamo visto in alcuni dei nostri articoli per lo speciale riciclo. (Dove si butta l’olio di frittura? Oppure, Dove si butta il legno? …)
Quindi: come smaltire gli imballaggi compostabili?
La confusione può comportare la contaminazione del riciclaggio e dei rifiuti.
A questo si aggiunge il fatto che produrre questi materiali comporta -ulteriori- emissioni di carbonio.
Per quanto siano eco-friendly.
Nel rapporto, Juliet Phillips, attivista della Environmental Investigation Agency, sottolinea che il risultato rimane lo stesso:
“se un bicchiere biodegradabile finisce in mare, crea alla fauna marina gli stessi problemi di uno di plastica”
C’è da dire che le bioplastiche oggi sono l’1% degli oltre 359 milioni di tonnellate di plastica prodotte.
Una goccia in un mare di polimeri derivati dal petrolio.
Ma il mercato è in crescita.
La produzione globale annua passerà dai 2,11 milioni di tonnellate del 2017 a 2,42 milioni nel 2024.
Questi i dati di un’indagine realizzata dal nova-Institut per la European Bioplastics. Associazione europea dei produttori di bioplastica.
Dove si buttano?
Innanzitutto, quelli “semplicemente” biodegradabili devono essere smaltiti insieme alla plastica.
E non possono essere utilizzati per raccogliere i nostri scarti dell’umido.
Nel caso, invece, di sacchetti biodegradabili e compostabili, questi possono essere conferiti nell’umido.
La Commissione parlamentare britannica per l’Ambiente concorda sulla posizione delle associazioni ambientaliste. Tempo fa avevano sollevato preoccupazioni circa l’evidenza:
“le persone abbandonano con più facilità rifiuti biodegradabili nell’ambiente, il che peggiorerebbe ulteriormente l’inquinamento sulla terra e in mare”.
Anche in Italia si cerca di capire quali sono le migliori soluzioni da adottare.
Assobioplastic e il gruppo Novamont, leader nello sviluppo e nella produzione di bioplastiche, mostrano la loro consapevolezza sulla questione ambientale.
Le bioplastiche, dovremmo saperlo, sono prodotti che forniscono soluzioni a specifici problemi.
Sono state pensate per essere gestite nel circuito del compostaggio industriale.
“Non sono la soluzione all’abbandono dei prodotti in mare o in altri ambienti, e nessuno ha mai tentato di accreditarle come tali”
Purtroppo, l’attuale normativa europea ci mette in crisi a livello economico.
Produciamo il 60% del mercato europeo dell’usa e getta. Da anni investiamo nella plastica biodegradabile e compostabile.
Siamo l’unico paese europeo ad aver innescato un processo virtuoso e ora rischiamo di perdere posti di lavoro.
Siamo i leader europei del settore:
- le aziende coinvolte sono 280;
- gli addetti 2.78;
- un fatturato annuo di 815 milioni di euro.
Non a caso siamo stati i primi a introdurre gli shopper compostabili. Biodegradabili in 6 mesi.
Come spiega la pluripremiata giornalista italiana Gabanelli: sapevamo da due anni che l’orientamento era quello di escluderle.
Ma politica e imprese non hanno fatto fronte comune nelle trattative, coinvolgendo anche altri Stati.
Ognuna è andata avanti a difendere la propria plastica: chi la fa col petrolio, chi con il bioetanolo, chi biodegradabile.
Sperando in una proroga o una deroga. Che non c’è stata.
Composizione sacchetti biodegradabili: inquinano quando li abbandoniamo!
Appurato il fatto che i sacchetti biodegradabili inquinano insieme a quelli compostabili o in plastica tradizionale se abbandonati nell’ambiente.
Bisogna comunque evidenziare che esistono differenze importanti tra bioplastiche, plastiche biodegradabili…
Che cosa dice la legge?
La legge è stata approvata nell’agosto 2017 ed entrata in vigore il 1° gennaio 2018. Prevede che i sacchetti di plastica ultraleggera, devono essere biodegradabili, compostabili e certificati.
Con un contenuto minimo di materia prima rinnovabile non inferiore al 40%.
Parliamo anche di quelli utilizzati nei supermercati per imbustare frutta, verdura o altri alimenti freschi sfusi.
Cosa significa materia prima rinnovabile?
Quando parliamo di materie prime o fonti rinnovabili ci riferiamo a quelle risorse che la natura riesce a sostituire in un arco di tempo paragonabile a una vita umana.
A differenza delle fonti fossili (o non rinnovabili) che si riformano in milioni di anni…ed anche per questo motivo in esaurimento.
Perciò, non è detto che le bioplastiche siano tutte, completamente, rinnovabili. Anzi!
I sacchetti del supermercato sono bio?
In Italia, dal 2011, i supermercati dovrebbero fornirci solo “buste” biodegradabili e compostabili. Non è che i sacchetti biodegradabili inquinano a prescindere.
Ma sicuramente quelli compostabili hanno un impatto ancora minore sugli ecosistemi.
Tanto che, come abbiamo visto, possiamo gettarli insieme all’umido.
Inoltre, sono quelli adatti ed efficaci come contenitori dei rifiuti organici!
Purtroppo, la situazione non è rosea.
Perché? I sacchetti non a norma circolano ancora in alcuni “negozi di quartiere” e nei mercati rionali.
Secondo alcuni dati Ispra, nel 2020 abbiamo prodotto e usato 68 mila tonnellate di buste compostabili e biodegradabili e 18 mila tonnellate di buste fatte di plastiche varie.
Le tasse sulla plastica possono servire a scoraggiarne l’utilizzo. Comunque, non risolvono il problema a monte: non riusciamo a riciclare tutta la plastica che produciamo.
Basti pensare che nel 2016 solo il 6% della domanda di plastica europea era soddisfatta da plastica riciclata.
Per questo abusare della plastica e poi obiettare che “noi riciliamo!” non è ammissibile.
Senza dimenticare che possiamo commettere errori. Anche chi è più attento e in buona fede.
E non si tratta di errori trascurabili. Perché confondere i sacchetti di plastica biodegradabile con quelli compostabili, gettandoli nel raccoglitore sbagliato rallenta e contamina il lavoro degli impianti di riciclaggio.
Secondo il Consorzio Italiano Compostatori (Cic) e Corepla, nel biennio 2019-2020 c’erano 90 mila tonnellate di plastica non compostabile nella raccolta dell’organico.
Un errore banale, che arriva a costare dai 90 ai 120 milioni di euro.
I sacchetti biodegradabili inquinano dove manca “l’ecologia”
Qualcuno si chiede se i sacchetti biodegradabili inquinano.
Qualcun altro se siano una soluzione.
In realtà, sembrerebbe che per ridurre il consumo di plastica, l’ideale sarebbe non produrla!
Ma, utopie apparte, andando a fare la spesa potremmo usare qualcosa che non finisca in pattumiera subito dopo l’uso. (O dispersa nell’ambiente!)
Nella transizione che viviamo da economia lineare a circolare, riduzione e riutilizzo sono sempre in cima alla piramide delle azioni virtuose.
Siamo in molti a porci spesso le medesime domande.
Come ridurre il packaging nel settore alimentare?
E per riusare contenitori? Come fanno per le bottiglie numerosi paesi in Europa con il vuoto a rendere?
Silvia Ricci, responsabile campagne dell’Associazione Comuni Virtuosi, afferma:
“la vera rivoluzione circolare è sviluppare i sistemi di riuso e l’autoproduzione.”
Capita a tutti di comprare prodotti che potremmo fare tranquillamente a casa.
E c’è chi ha adottato una serie di strategie per ridurre tutti i prodotti che sono superflui o possono essere prodotti a casa.
C’è pure chi, per affrontare il problema della plastica si è posto domande ancor più impegnative:
“se per strada gettiamo la spazzatura nel cestino, perché non farlo anche in mare?”
Ecco perché nei porti italiani sono entrati in funzione otto cestini Seabin. Per inghiottire plastiche e microplastiche galleggianti.
Un rifiuto prezioso, che bisognerebbe recuperare -prima- che finisca in mare.
Ad Haiti, nelle Filippine e in Brasile esiste una catena di negozi Plastic Bank, dove è possibile acquistare beni e servizi di prima necessità usando come moneta di scambio proprio la plastica.
Che viene poi smistata e venduta a imprese che la riutilizzano nella filiera produttiva.
“Non dubitare mai che un piccolo gruppo di cittadini attenti e impegnati possa cambiare il mondo; In effetti, è l’unica cosa che abbia mai avuto.”
Lo diceva Margaret Mead e noi gliene siamo grati.